Il dolce stil novo

Negli ultimi decenni del 1200, a Firenze, una delle città più all’avanguardia e che sta diventando il centro della cultura italiana, si forma il nucleo più importante di una nuova tendenza poetica, cioè il “dolce stil novo”, con cui la lirica amorosa di stampo provenzale e di ispirazione cortese, tocca la sua fase culminante. I poeti più rappresentativi sono Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni e Dino Frescobaldi. Questi poeti si vogliono distaccare dall’impostazione della scuola siciliana e aretina, in particolare polemizzano con Guittone d’Arezzo. Dobbiamo dire anzitutto che si tratta di poeti da una spiccata personalità, tanto che ciascuno ha delle proprie caratteristiche, ma tutti sono accomunati dall’idea di allontanarsi dallo stile guittoniano. Essi vogliono uno stile più limpido e lineare, che viene definito, appunto, dolce. Per continuare ad usare il paragone con la lirica francese, possiamo dire che, mentre Guittone si rifaceva al trobar clus, questi nuovi poeti si rifacevano al trobar leu. Sul piano dei contenuti, al motivo dell’omaggio feudale del cavaliere alla dama, si sostituisce una visione molto più spiritualizzata della donna amata che, appunto, viene proprio gradualmente esaltata non solo per le sue qualità femminili, ma soprattutto come una figura angelica, come se fosse un angelo in terra. In quanto donna-angelo, la donna diventa dispensatrice, cioè colei che può donare all’uomo la salvezza, e una mediatrice tra Dio e l’uomo: l’amore per la donna diventa la via per arrivare a Dio. E’ chiaro che facendo della dama una dispensatrice, il poeta si caricava di una grossa responsabilità perché intellettualmente doveva motivare la funzione della dama e quindi questa poesia è molto densa per i contenuti intellettuali, del pensiero; per esempio è una poesia dove non sono rari dei riferimenti di carattere filosofico e teologico.

- La nuova concezione della corte e la nobiltà d’animo

Un altro obiettivo di questo gruppo di poeti fu anche quello di sostituire alla realtà della corte reale, che stava alla base della poesia provenzale e siciliana, con un modello di corte tutta “ideale”, in cui si ritrova una cerchia ristretta di “spiriti eletti”, cioè l’idea di ricreare una specie di circolo molto elitario, in cui si distinguono delle teste intelligenti, pensanti, qualitativamente superiori alla massa.

Questa cerchia si contrappone, appunto, al volgo “villano”. Quindi lo stil novo si rivela come espressione dello strato più elevato delle nuove classi dirigenti comunali. Naturalmente essi aspiravano a presentarsi come una nuova aristocrazia, non nel senso di nobiltà di sangue, ma una aristocrazia basata sulla qualità dell’ingegno, intellettuale (“altezza di ingegno”, usato da Dante).

Questo nuovo concetto di nobiltà diventa uno dei temi fondamentali del dolce stil novo perché viene ad identificarsi nel tema corrispondente tra amore e gentilezza (nel senso di nobiltà, cioè: sapere amare diventa l’indizio fondamentale della nobiltà d’animo).

L’espressione “dolce stil novo”

Questa formula è stata coniata da Dante nel 24° canto del Purgatorio, in cui Bonagiunta degli Orbicciani chiede a Dante se è lui che “trasse le rime nove”. Bonagiunta fa questa domanda partendo dalla lirica dantesca “Donne c’avete intelletto d’amore”. Dante risponde: “Io sono uno che quando Amore m’ispira, noto, e a quel modo che ditta dentro vo’ significando” (quando l’amore lo ispira, egli lo analizza in base a ciò che gli comunica: il tema che indaga l’animo del poeta è quello dell’amore profondo e complesso). A questa risposta di Dante, Bonagiunta dice che allora comprende bene il “nodo” che trattenne Iacopo da Lentini, Guittone d’Arezzo e lui stesso a non entrare nella cerchia di Dante, cioè a tenersi “al di qua di quel dolce stil novo che io odo”.

Un’altra formula che Dante usa per indicare questa poesia è quella di definire le rime “dolci e leggiadre” (26° canto del Purgatorio); tali aggettivi hanno una connotazione tecnica, stilistica e indicano le caratteristiche di questo stil novo. Precursori di questi poeti è Guido Guinizzelli, con una canzone che è la più illustre e può essere considerata come il “manifesto” di questa tendenza poetica: “Al cor gentil rempaira sempre amore”.

Poesia “comica”

Nella seconda metà del 1200 si sviluppa specialmente in Toscana un filone di poesia di tipo comico che vuole contrapporsi alla poesia elevata sia dei siculo-toscani che dei stilnovisti, attuando un vero e proprio rovesciamento dei modelli, cioè una parodia della poesia colta, per es. ci si diverte a trattare con linguaggio nobile ed elevato situazioni o soggetti che in realtà sono vili e spregevoli, per cui ad es. circolavano poesie con la lode alla donna applicata a un uomo deforme, vile e viceversa. I rimatori comici più importanti sono sicuramente Cecco Angiolieri e Folgore da San Gimignano. I temi ricorrenti in questa poesia sono l’amore sensuale, la ricchezza, la povertà, la ricerca dei piaceri (vino, banchetto, gioco d’azzardo, mangiare) e il tema della contesa, dell’offesa, della calunnia e del battibecco.

Riepilogo delle caratteristiche della poesia comica

Con Cecco Angiolieri e Folgore da San Gimignano si parla di poesia comico-parodistica, di stampo realistico. Le caratteristiche fondamentali di questa produzione letteraria sono le seguenti:

L’effetto comico è dato anzitutto da un volontario e studiato rovesciamento delle tematiche della poesia colta; in particolare in questo momento è rappresentata dal dolce stil novo. Quindi anche la poesia comica è incentrata su temi amorosi. Il rovesciamento avviene su due livelli fondamentali:

la concezione dell’amore, cioè sul modo di figurarsi questo amore; le formule, cioè nell’uso di un linguaggio radicalmente diverso rispetto alla poesia colta. Per quanto riguarda la concezione dell’amore, si procede ad una sorta di demolizione dei modelli tradizionali, ad es. la donna prende iniziativa, quindi c’è uno scambio di ruoli (la donna spasima, è innamorata, cerca nell’uomo l’amore carnale, sensuale. Non è un amore vero, è un invaghimento: l’amore nasce per scopi opportunistici (lussuria) o ricerca di benessere materiale (denaro). Questa donna avida è opposta, oltre alla donna angelica, anche alla chiesa; quindi i poeti giocano sull’immagine della donna, proposta della chiesa, che spesso demonizzava la donna (Eva = donna del peccato). I poeti riprendono tale concetto ma, se la chiesa vuole moralizzare, essi vogliono invece scherzarci. Sul piano formale, viene usato un linguaggio colloquiale, gergale, volgare, ma comunque colorito, vivace, crudo. Ciò però non significa che non ci sia da parte dei poeti una profonda consapevolezza degli strumenti retorici della lingua, ma si verifica un rovesciamento del linguaggio e a volte essi si divertono a trattare argomenti bassi con linguaggio alto, tipico della parodia, e viceversa. La parodia infatti, oltre che ad essere presente nella lingua si trova anche nelle situazioni cantante e consiste pertanto nella caricatura. Attenzione! Da quanto abbiamo detto, possiamo definire tale poesia comica, parodistica e realistica, in quanto affronta l’amore secondo l’ottica quotidiana. Ma non è un realismo descrittivo, ma caricaturale (immaginario, iperreale); non c’è un autore asettico ma un autore che “mette le mani” sull’argomento in questione.

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