video sulla vita di Petrarca

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video sulla poetica e sulle opere di Petrarca

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video sul Canzoniere di Petrarca

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video: una lezione sul sonetto:

voi ch' ascoltate in rime sparse il suono

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Francesco Petrarca nasce da una famiglia alto-borghese fiorentina ad Arezzo nel 1304. Il padre era un notaio e, durante l’affermazione dei guelfi Neri a Firenze, venne esiliato come Dante.

Nel 1312 il padre si trasferisce in Francia ad Avignone, città che all’epoca era la sede del papato.

Dopo i primi studi, Francesco nel 1316 comincia ad andare all’università di Montpellier, seguendo l’indirizzo di giurisprudenza.

A 16 anni con il fratello Gherardo si reca a Bologna, città che all’epoca costituiva un centro culturale famosissimo.

Ma Francesco non era interessato al diritto, in quanto scopre di avere una particolare tendenza letteraria e in questo periodo inizia a scrivere i primi versi.

Alla morte del padre nel 1326, egli ritorna ad Avignone ed abbandona gli studi. A questo punto intraprende una vita dissoluta, aristocratica e si spalancano a lui le porte delle classi sociali più elevate; comincia a nutrire una passione per la letteratura: i suoi modelli erano Virgilio e Cicerone, ma considerava importante l’opera “Le Confessioni” di Sant’Agostino (IV sec. d.C.).

 

All’inizio si esprimeva in latino, poi fece ricorso alla lingua volgare, ricalcando così gli stilnovisti.

 

Un’esperienza fondamentale nella sua vita fu l’innamoramento di una donna, Laura citata nella suo opera Il Canzoniere.

In Laura vi sono elementi tipici dello Stil Novo: già il nome si ricollega all’alloro, una pianta celebrata in ricordo del mito di Dafne e di Apollo, così come all’aria di brezza. Francesco pertanto carica Laura con una serie di valori simbolici; inoltre parla di una data simbolica del loro primo incontro, per la precisione il 6 aprile del 1327 in una chiesa di Avignone.

Ad un certo punto sorgono problemi economici (il padre è morto e non ha “né arte né parte”, vive di rendita); egli aveva bisogno di tranquillità per dedicarsi alle sue passioni. La carriera più agevole era quella ecclesiastica, poiché garantiva una buona protezione economica. Francesco prende gli ordini minori, ma non diventa sacerdote; grazie alle sue doti entra in contatto con gli ambienti più illustri della Curia (ad es. il vescovo Giacomo Colonna), assume cariche diplomatiche e compie diversi viaggi: in questa prima fase egli era molto irrequieto e il viaggio aveva lo scopo di schiarirgli le idee e così sente il bisogno di rompere con la vita mondana, cui contrappone scelte di vita opposte, facendo prevalere il bisogno di dedicarsi alla ricerca di se stesso.

 

Intanto infuria la peste nera (1348) e mentre si trova a Parma lo raggiunge la notizia della morte di alcuni suoi cari amici e di Laura stessa (6 aprile 1348). A questo punto inizia una serie di viaggi in Italia per Francesco: tra il 1351 e il 1353 vive a Valchiusa e quindi va a Firenze, dove conosce Boccaccio; dal 1353 al 1361 vive a Milano, presso l’arcivescovo e signore della città Giovanni Visconti; questa scelta di Francesco fu accolta con dispiacere da Boccaccio, il quale lo avrebbe voluto a Firenze (che viveva in una situazione agitata). Questo è un periodo tranquillo, dedicato agli studi eruditi, ma nel 1361 Petrarca è costretto a fuggire per il diffondersi della peste.

 

Dopo aver soggiornato per breve tempo a Padova, Petrarca si reca a Venezia, dove si stabilisce dal 1362 al 1368; anno in cui accetta l’ospitalità a Padova del signore Francesco da Carrara e si fa costruire una casa ad Arquà, nei Colli Euganei, dove risiede dal 1370 fino al 1374: nella notte tra il 18 e il 19 luglio, Francesco Petrarca muore a causa di una crisi violenta dovuta a forti attacchi di febbre (ai quali egli era soggetto negli ultimi anni di vita).

 

Petrarca come nuova figura di intellettuale

Petrarca è una nuova figura di intellettuale rispetto a Dante , che già anticipa la figura dell’intellettuale dei secoli successivi. Passa in secondo piano 1) il fatto che egli è un uomo pubblico; 2) il fatto che egli è un intellettuale versatile, eclettico, in quanto sa muoversi sia nel mondo religioso, sia nel mondo comune; 3) il fatto che, mentre Boccaccio e Dante vivono in una dimensione comunale, Petrarca ha dei contatti con una realtà sovracomunale, anticipando la figura dell’intellettuale umanista cosmopolita, ossia di colui che si sente cittadino del mondo, senza radici in una specifica tradizione municipale; 4) inoltre egli è anche un intellettuale cortigiano (in quanto frequenta ancora le corti), che accetta le istituzioni della signoria. Petrarca, vivendo questa dimensione signorile, si trova di fronte al problema dell’autonomia. Egli si mostra abile nel sottrarsi a certi tipi di incarichi ecclesiastici, che lo avrebbero legato a singole corti o a singoli uomini potenti: pertanto compie missioni diplomatiche in quanto rifiuta di sistemarsi stabilmente e di legarsi al “mecenate”. Inoltre è un intellettuale nuovo poiché porta avanti un’idea nuova: siamo in un momento storico in cui, maggiormente rispetto al 1200, la letteratura gode di un enorme prestigio, in quanto si verificano dispute tra ad es. Medici, Estensi, Visconti per accaparrarsi i più grandi letterati, per una questione di prestigio. Petrarca è anche un intellettuale maestro, in quanto sente il bisogno di fornire modelli e di comunicare valori.

 

Le opere di Petrarca

C’è una sezione di opere religiose e morali. La maggior parte delle opere sono in latino (sono stati scritti in volgare Il Canzoniere e I trionfi):

 

il Secretum è stato scritto tra il 1342-43, nel momento culminante della crisi religiosa. Petrarca immagina un dialogo tra lui stesso e Sant’Agostino, che si svolge in tre giorni, alla presenza di una donna bellissima che rappresenta allegoricamente la Verità. In quest’opera è interessante lo sdoppiamento di Petrarca in due personaggi, che sono la proiezione della sua interiorità divisa ed in inquieta. Agostino naturalmente rappresenta la forma alta di coscienza e quindi è autorizzato a frugare nell’animo di Petrarca; infatti Agostino smonta tutte le idee di Petrarca e gli rimprovera la mancanza di volontà. Nel secondo libro del Secretum si passano in rassegna i sette peccati capitali, tra cui quello dell’accidia, cioè, per l’appunto, la mancanza di volontà. Infine nel terzo libro Petrarca si sofferma su altre due colpe di cui egli stesso si sente responsabile: il desiderio di gloria terrena (che distoglie dalle cose divine) e l’amore per Laura. Quindi c’è un Petrarca che da un lato considera questi due desideri non come colpe, ma come enti positivi; dall’altro lato Sant’Agostino smonta Petrarca dicendogli che l’amore per Laura lo svia dalle cose divine.

 

Oltre al Secretum, molto importante è anche il De vita solitaria, scritto pochissimi anni dopo il Secretum stesso, in cui viene esaltata la vita in solitudine e in particolare la vita ascetica. Per Petrarca la solitudine non deve essere rigida e rigorosa come quella degli eremiti, ma deve essere un concetto che richiama la filosofia stoica, rielaborata da Cicerone e da Seneca; in poche parole, la solitudine deve essere un momento fecondo, caratterizzato da un allontanamento dalla vita pubblica per arricchire la propria anima attraverso lo studio: pertanto non si può parlare di solitudine, in quanto il compagno di viaggio è il libro e questa è un’altra dimostrazione dell’interesse di Petrarca per la cultura classica.

 

Le opere umanistiche

PETRARCA E L’ARTE DELLA FILOLOGIA

Petrarca ritiene essenziale studiare i classici cercando di andare alle fonti originali, al fine di ricostruire l’albero genealogico dei testi. Per es. Petrarca fa alcune scoperte importanti su codici antichi che riportavano alcune epistole di Cicerone. Petrarca quindi dimostra così di avere un rapporto nuovo con il passato, cioè egli è ormai cosciente che tra la sua epoca contemporanea e il mondo antico ci sia una frattura. Mentre Dante non è ancora consapevole di questo distacco (in quanto egli mescola ingenuamente i due mondi nella Divina Commedia, con Virgilio che è la sua guida), Petrarca invece ha contestualizzato e storicizzato il passato, essendo consapevole del fatto che egli non può “fondere” passato e presente, tuttavia deve studiare il passato nel modo più preciso possibile. Quindi si può dire che con Petrarca nasce una consapevole attività filologica (filologo è colui che è innamorato delle parole e che ne ricostruisce la storia). Tra le opere umanistiche dobbiamo citare gli Epistolari: Petrarca, sul modello di Cicerone, scrive un corpus di epistole, divise in Familiari e Senili. Le epistole sono importanti in quanto Petrarca ricostruisce un ritratto ideale di se stesso (e anche del letterato ideale, che deve essere aperto, studioso, che sa alternare otium ed negotium); non si tratta però di sfoghi di Petrarca (consapevole che sta producendo un’opera letteraria che sarà pubblicata).

 

Un’altra opera è il De viris illustribus, ripresa dalle vite di Svetonio, San Girolamo (tutti autori classici) e si tratta di una biografia di personaggi illustri romani (è pertanto un’opera storica).

 

Inoltre Petrarca ha scritto un carmen bucolico, sul modello virgiliano, ed un poema epico in esametri, Africa, incentrato sulla seconda guerra punica.

 

 

Il Canzoniere

Con quest’opera viene fuori il genio di Petrarca. Si tratta di un’opera in volgare, per il fatto che Petrarca considera quest’opera di scarsa importanza (“Fragmenta rerum volgarium”, come le nugae di Catullo). In realtà Petrarca sceglie questa lingua per il fatto che per competere con gli stilnovisti, egli doveva adottare una lingua raffinatissima (però meno colorito e più piano, equilibrato, rispetto al volgare dantesco). La stesura del Canzoniere è molto complessa (la sistemazione definitiva è del 1374). L’opera è definita come “rime sparse” dal primo verso del sonetto proemiale, che inizia così: “Voi che ascoltate in rime sparse il suono”; è costituita da 366 componimenti (di cui 317 sonetti + canzoni, ballate e sestine).

Il tortuoso percorso interiore già analizzato nelle altre opere di Petrarca, è fondamentale per accostarsi al Canzoniere, incentrato sull’amore per Laura. Nel libro si percorre lo sviluppo di una passione umana e terrena (diversamente da Dante), che non esclude l’aspetto sensuale; si tratta però di un amore perpetuamente inappagato, e quindi, tormentato. Dunque dal racconto dell’amore in sé, ecco che Petrarca scivola a parlare della sua interiorità tormentata.

 

 

 

 

 

 

Testo

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono

Parafrasi

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

 

del vario stile in ch’io piango e ragiono
fra le vane speranze e ‘l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

 

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

 

e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto,
e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

 

Presso di voi che ascoltate in poesie staccate tra loro il suono di quei sospiri d’amore di cui io nutrivo il mio animo, al tempo del mio primo traviamento giovanile, quando in parte ero un uomo diverso da quello che sono ora, (presso di voi che scoltate il suono) dei diversi stili, in cui io piango e mi esprimo fra le inutili speranze e l’inutile dolore, se c’è qualcuno che sappia per esperienza che cos’è l’amore, spero di trovare presso di lui compassione e perdono.

Ma ora mi accorgo chiaramente come per tutto il popolo sono stato per molto tempo oggetto di dicerie, motivo per cui spesso ho vergogna di me stesso dentro di me; e la vergogna è il risultato del mio vaneggiare, e il pentimento e il sapere con chiarezza che tutto ciò che riguarda la vita terrena è di breve durata.

 

Forma metricasonetto di quattordici endecasillabi (due quartine e due terzine). Schema delle rime: ABBA- ABBA- CDA – CDA

 

 

COMMENTO

Il Canzoniere di Petrarca è una raccolta di 366 poesie, in gran parte sonetti (317), in cui il poeta canta il suo amore, inappagato e tormentato, per Laura. La conflittuale vicenda d’amore non è fine a se stessa, bensì è assunta a paradigma di un’esperienza più vasta: di una continua introspezione, del bisogno di assoluto e del contemporaneo legame con i beni terreni, di un dissidio che non troverà mai una soluzione definitiva, se non nella limpidezza della forma.

Nel sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, posto in calce al Canzoniere, ma composto in anni più tardi (probabilmente verso il 1349, dopo la morte dell’amata Laura, le cui “rime in morte” costituiscono la seconda parte del Canzoniere), Petrarca si volge indietro ed opera un bilancio della propria esperienza amorosa. Infatti, rivolgendosi a chi, come lui, soffre pene d’amore, chiede comprensione e perdono perché il suo “primo giovanile errore” (v. 3), l’amore per una donna terrena (Laura) lo ha traviato e lo ha allontanato dall’amore per Dio. Si presenta, dunque, come colui che ha sbagliato in passato ed ora se ne vergogna: il sonetto, pertanto, è al contempo inizio e fine, perché è posto all’inizio, ma ripercorre criticamente l’esperienza passata del poeta. In Dante, questi sentimenti di pentimento erano legati a diversi peccati; qui, invece, l’unico peccato è stato l’amore. L’attitudine all’introspezione e all’autoanalisi è tipicamente petrarchesca, così come la dicotomia tra sacro e profano. Identificare la poesia col suono, la musicalità del verso è molto moderno, come il fatto di invitare noi che ascoltiamo, ossia leggiamo le poesie, a partecipare degli stati d’animo del poeta.

Il sonetto, fin dalle origini della letteratura in volgare, è la forma canonica della poesia italiana, soprattutto per quanto riguarda la poesia d’amore. Petrarca, inoltre, seleziona i termini da impiegare innanzitutto in nome della musicalità del suono: il canone di parole che dà l’effetto sonoro desiderato dal poeta è molto ristretto. I vocaboli che formano rima o assonanza tra loro, “suono – sono – sogno”, sono le parole-chiave che costituiscono l’ossatura del Canzoniere: la musicalità, la poesia come espressione di sé e il sogno, l’arbitrio. Da alcune espressioni, come “rime sparse” (v. 1) e “vario stile” (v. 5) si desume che la condanna petrarchesca non riguarda solo il suo comportamento, bensì anche la forma delle sue poesie: è, infatti, noto che Petrarca si aspettava la gloria dal poemetto in latino Africa, mentre attribuiva un’importanza minore alle opere in volgare.

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, si intrecciano due piani temporali: il presente, che è il tempo della vergogna e del pentimento, e il passato, il momento dell’errore. Petrarca sente angosciosamente il fluire inesorabile del tempo, di cui sono una conseguenza inevitabile la vanità e la precarietà di tutte le cose terrene. La struttura è bipartita: il sonetto è, infatti, diviso nettamente in due parti: le due quartine e le due terzine. Nelle quartine, vi sono rime dai suoni dolci e armoniosi e si parla del pubblico e del contenuto dell’opera. Nelle terzine, notiamo un certo incupimento di significato, sottolineato dalle rime dai suoni chiusi e aspri, e scaturito dalle sensazioni di pentimento, derisione e vergogna che il poeta sente verso l’amore da lui provato, ch’egli considera come qualcosa di vano, al pari di ogni sentimento terreno soggetto alla morte. Questa concezione viene evidenziata maggiormente dall’ultimo verso del sonetto: “che quanto piace al mondo è breve sogno” (v. 14).

Anche la struttura sintattica è studiatissima: le due quartine sono disposte a chiasmo: la prima quartina si apre col “voi”, la seconda si chiude con “spero”; inoltre, notiamo una grande distanza tra il destinatario dell’invocazione “voi ch’ascoltate” e l’invocazione stessa “spero trovar…”. La ricercata aggettivazione, tutta negativa, mette in risalto il tema-chiave del sonetto: la vanità dei beni terreni.

 

 

 

 

TESTO

Solo et pensoso i più deserti campi

PARAFRASI

Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human la rena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so, ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co·llui.

 

Solo e pensieroso percorro a passo lento i più deserti campi e tengo gli occhi attenti affinché io possa fuggire i luoghi segnati da piede umano. Non trovo altro riparo per salvarmi dal fatto che la gente comprende (=il poeta si riferisce alla comprensione del suo stato interiore), perché negli atti privi di allegria si legge esteriormente come io dentro ardo; tanto che io credo ormai che sia i monti, le pianure, i fiumi e i boschi sappiano di che tenore sia la mia vita, che è nascosta agli altri. Ma tuttavia non so cercare vie così impervie e solitarie che Amore non venga sempre a parlare con me ed io con lui.

FORMA METRICA: Sonetto (14 endecasillabi raggruppati in due quartine e due terzine). Rima: ABBA-ABBA-CDE-CDE (incrociata nelle quartine e ripetuta nelle terzine)

 

 

In questo sonetto il tema presente è quello della solitudine in quanto il poeta si trova in un deserto ed è incentrato nella sua interiorità. Il paesaggio non è descritto in modo approfondito e assume solo uno sfondo simbolico. La vicenda è collocata in un tempo e in uno spazio imprecisati (c'è un clima di astrazione e di sospensione). Questo sonetto è come se si trattasse di un monologo lirico che prende spunto da un dolore imprecisato che diventa malinconia. Solo la natura partecipa alla solitudine del poeta.

 

 

 

 

Commento

 

Solo et pensoso, scritto nel 1337, è uno dei sonetti più famosi dei Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca, che prenderanno poi successivamente il nome d’una indicazione di genere – Canzoniere – per il tasso innovativo che lo caratterizza. Petrarca infatti conferisce al Canzoniere una struttura organica, ordinando i singoli microtesti in una struttura dotata di un suo significato complessivo.

Protagonista del Canzoniere di Petrarca è sì Laura, sì gli storici protettori del poeta (i Colonna), ma soprattutto Petrarca stesso e gli effetti che il suo amore per Laura produce nel suo animo. L’amore, che caratterizza l’opera ed il poeta, è un amore tormentato, che investe sia l’anima che il corpo. È un amore oscillante tra la passione dei sensi e il vagheggiamento ideale. Un amore inteso come traviamento, da cui il poeta spesso vuole liberarsi per poi però ricadere nel vagheggiamento e nella preghiera.

La natura tormentata di questo amore è evidente nel sonetto Solo et pensoso. La retorica che il poeta utilizza è quella tipica degli opposti: antitesi, anastrofe, iperbato; tutta funzionale ad esprimere la natura opposta del sentimento e l’effetto che esso ha sul suo animo. Nel componimento, che procede lento a causa dell’accentazione dilatata (che rimarca a livello metrico i “passi tardi et lenti”), il poeta è tutto intento alla fuga, alla volontà della solitudine per non divenire oggetto, a causa del suo stato interiore (rimarcato dalla metafora del v.8 “dentro avampi”), del vociare della gente. Il gioco degli opposti è evidente in particolare nell’antitesi del v.8 (“di fuor si legge com’io dentro avampi”), dove l’effetto del sentimento amoroso è giocato tra esteriorità, che rivela il sentimento, e l’interiorità del poeta, che arde nella passione dell’amore.

Nel componimento è quindi evidente come il sentimento amoroso venga vissuto come traviamento dell’animo, come tormento; ed è naturale conseguenza la fuga, non solo dalla gente, ma anche, per certi versi, dal sentimento amoroso stesso. La ricerca della solitudine costringe il poeta a vagare nella natura che, caratterizzata da un paesaggio deserto e segnato solo da pochi riferimenti indeterminati, diventa parte integrante dell’Io lirico, manifestazione del suo tormento. Una solitudine che però, è evidente nell’ultima terzina, non si realizza, poiché l’Io del poeta viene affiancato dall’onnipresente Amore (sentimento in questo componimento, come sarà in tanti altri, evidentemente tirannico) che, personificato come in tutta l’opera, dice il poeta, “venga sempre ragionando con meco”.

Si noti, inoltre, come il gioco oppositivo sul quale è costruito il componimento, si vada in certo senso a pacificare nel ritmo musicale e dalla simmetria della sintassi.
Note. Il latinismo “et” è da intendere solo graficamente e non da adattare alla lettura che sarà “e”. Alcuni libri di testo riportano infatti “e”.

 

 

 

 

TESTO

Chiare fresche et dolci acque

PARAFRASI

Chiare, fresche et dolci acque, 
ove le belle membra 
pose colei che sola a me par donna; 
gentil ramo ove piacque 
(con sospir mi rimembra) 
a lei di fare al bel fianco colonna; 
erba e fior che la gonna 
leggiadra ricoverse 
co l'angelico seno; 
aere sacro, sereno, 
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: 
date udienza insieme 
a le dolenti mie parole estreme.
S'egli è pur mio destino, 
e 'l cielo in ciò s'adopra, 
ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, 
qualche grazia il meschino 
corpo fra voi ricopra, 
e torni l'alma al proprio albergo ignuda. 
La morte fia men cruda 
se questa spene porto 
a quel dubbioso passo; 
ché lo spirito lasso 
non poria mai in più riposato porto 
né in più tranquilla fossa 
fuggir la carne travagliata e l'ossa.
Tempo verrà ancor forse 
ch'a l'usato soggiorno 
torni la fera bella e mansueta, 
et là ' ov' ella mi scorse 
nel benedetto giorno 
volga la vista disiosa et lieta, 
cercandomi: et, o pieta!, 
già terra infra le pietre 
vedendo, Amor l'inspiri 
in guisa che sospiri 
sì dolcemente che mercé m'impetre, 
et faccia forza al cielo, 
asciugandosi gli occhi col bel velo.
Da' be' rami scendea 
(dolce ne la memoria) 
una pioggia di fior sovra 'l suo grembo; 
et ella si sedea 
umile in tanta gloria, 
coverta già de l'amoroso nembo. 
Qual fior cadea sul lembo, 
qual su le trecce bionde, 
ch'oro forbito et perle 
eran quel dì, a vederle; 
qual si posava in terra, e qual su l'onde; 
qual, con un vago errore 
girando, parea dir: Qui regna Amore
Quante volte diss'io 
allor pien di spavento: 
Costei per fermo nacque in paradiso. 
Così carco d'oblio
il divin portamento 
e 'l volto e le parole e 'l dolce riso 
m'aveano, et sì diviso 
da l'imagine vera, 
ch'i' dicea sospirando: 
Qui come venn'io, o quando?; 
credendo esser in ciel, non là dov'era. 
Da indi in qua mi piace 
questa erba sì, ch'altrove non ho pace.
Se tu avessi ornamenti quant' hai voglia, 
poresti arditamente 
uscir del bosco e gir in fra la gente.

 

Limpide, fresche e dolci acque
dove immerse le sue belle membra
colei che unica per me merita il nome di donna
delicato ramo al quale le piacque
di appoggiare il suo bel corpo
( me ne ricordo sospirando )
erba, fiori che ricoprirono
il suo leggiadro vestito ed il suo corpo,
atmosfera limpida, fatta sacra dalla sua presenza
dove Amore attraverso i suoi begli occhi mi trafisse l'animo
ascoltate voi tutti insieme
le mie tristi ultime parole.
Se è mio destino dunque,
ed in ciò si adopera il volere del cielo,
che Amore chiuda questi occhi piangenti,
qualche favore divino faccia sì
che il mio corpo sia sepolto tra voi,
e l'anima ritorni sciolta dal corpo al cielo.
La morte sarà meno dolorosa
se reco questa speranza in vista di quel pauroso momento:
poiché l'anima stanca
non potrebbe in più riposata quiete
né in più tranquillo sepolcro
abbandonare il corpo travagliato da mille angosce.
Verrà forse un giorno
in cui all'abituale meta
ritornerà la donna bella e crudele,
e a quel luogo dove ella mi vide
nel benedetto giorno dell'incontro
volga i suoi occhi pieni di desiderio e di letizia,
cercando di me, e, divenuta pietosa,
vedendomi polvere tra le pietre del sepolcro,
venga ispirata da Amore
così da sospirare
tanto dolcemente e ottenere la misericordia divina
piegando la giustizia celeste,
asciugandosi gli occhi con il suo bel velo.
Dai rami scendeva ( dolce nel ricordo )
una pioggia di fiori sul suo grembo;
ella sedeva umile in tanta festa della natura,
coperta da quella pioggia di fiori, ispiratrice d'amore.
Un fiore cadeva sull'orlo della veste,
un altro sulle bionde trecce,
che quel giorno a vederle.
parevano oro fino e perle 
Un altro si posava in terra ed un altro ancora sull'acqua;
infine un fiore 
volteggiando nell'aria
pareva suggerire: "Qui regna Amore "
Quante volte dissi,
preso da grande stupore:
costei certo è nata in Paradiso.
Il suo modo di procedere quasi divino; 
il suo volto, la sua voce e il suo sorriso
mi avevano fatto dimenticare a tal punto dove mi trovavo
e fatto allontanare talmente dalla realtà,
che  mi chiedevo sospirando come
fossi potuto pervenire in un luogo simile e quando vi ero giunto.
Perché credevo di essere giunto in Paradiso
non in Terra dove mi trovavo
Da quel momento in poi amo questo luogo
così che non ho pace in nessun altro.
Se tu, mia canzone, fossi bella e ornata, quanto desideri,
potresti coraggiosamente
uscire dal bosco e andare tra gli uomini

 

FORMA METRICA: Canzone di cinque strofe in endecasillabi e settenari, divisa in piedi e sirma, con schema abCabC cdeeDfF, più un congedo.

 

 

Commento

Il componimento Chiare, fresche et dolci acque fa parte del libro di liriche del Petrarca, il Canzoniere (titolo originale: Rerum vulgarium fragmenta), raccolta di trecentosessantasei poesie che raccontano la storia dell’amore del poeta per Laura e la decisione, dopo la morte di lei, di abbandonare le illusioni mondane per cercare in Dio la fine degli affanni terreni e la salvezza.

La canzone 126 rappresenta il componimento più celebre della raccolta, la poesia di Petrarca più amata da secoli di suoi lettori, in assoluto i versi più puri e tersi dell’intero Canzoniere. Altrettanto noto è l’episodio che essa rievoca, del poeta che assiste per caso al bagno di Laura nelle acque del fiume Sorga. Impossibile stabilire quanta parte di realtà biografica, e quanta invece di invenzione letteraria, siano presenti nella vicenda ricordata: certo è però che il topos dell’amante che scorge l’amata fare il bagno deriva dalla mitologia classica (Diana e Atteone, Aretusa e Alfeo). La visione si caratterizza per un atteggiamento di sbigottita contemplazione da parte dell’io, dimentico del mondo esterno e come trasognato, quasi sospeso nell’irrealtà («diviso/ da l’imagine vera»). L’indeterminatezza, la vaghezza delle immagini, la malinconia pacata che le avvolge, rendono la rappresentazione incantevole e il testo indimenticabile.

Chiare, fresche et dolci acque si muove sapientemente fra rievocazione del passato e immaginazione del futuro. La prima strofa si incentra infatti sul ricordo di Laura immersa nell’acqua, circondata dagli elementi naturali. Proprio questi sono gli interlocutori a cui ci si rivolge: a loro, soli testimoni del fatto raccontato, il poeta chiedeudienza per le sue parole. Il paesaggio si identifica armoniosamente con Laura, che ne è parte e che conferisce significato ad esso: per mezzo di lei, della sua presenza, il ramo diventa gentile, l’aere diventa sacro; viceversa, le parti del corpo di Laura si dissolvono nella natura, il bel fianco, l’angelico seno diventano elementi della natura in mezzo agli altri. La seconda e la terza strofa, invece, si spostano sul vagheggiamento di una possibilità futura, una vera e propria fantasticheria: che il poeta dopo la morte sia sepolto sulle rive del fiume e che Laura, di passaggio per questo luogo, vedendo la tomba, apprenda della morte di lui e ne abbia compassione. Nonostante questo componimento non risalga a una stagione senile, è fortemente presente dunque un senso della morte incombente (anche le parole di v. 13 sono estreme) che tinge la lirica di una sfumatura di sconforto, se non di disperazione. Nelle strofe successive, infine, si ritorna al ricordo del passato: nella quarta, l’immagine di Laura coperta da una nuvola di fiori, che riprende la Beatrice dantesca nel Paradiso terrestre (Purg. XXX), conferisce alla rievocazione toni favolosi, con i petali che ondeggiano quasi per incanto, mossi da Amore; nella quinta, infine, a coronamento del trionfo laurano, la donna amata è proiettata in una dimensione angelica e divina, creatura paradisiaca che dà al poeta l’impressione di essere traslato in cielo.

Per ciò che riguarda gli aspetti stilistici, la lingua della poesia di Petrarca riflette in un certo senso le sue immagini: stilizzate e quasi astratte queste, di conseguenza convenzionale e stereotipata quella. Petrarca non avverte mai l’esigenza di conferire realismo per mezzo di un lessico preciso e concreto, né quella di apportare originalità per mezzo di audacie linguistiche. Le sue scelte lessicali sono improntate a criteri di rigorosa selezione: soltanto alcuni termini possono rientrare nel nobile vocabolario della poesia, e questo aspetto spiega l’impressione di piattezza e ripetitività che, in contrapposizione all’esuberanza stilistica di Dante, la lirica petrarchesca può suscitare.