Guido Guinizelli


Al cor gentil rempaira sempre amore

È la "canzone-manifesto" della nuova maniera poetica iniziata da Guinizelli, poi diventata (forse al di là delle stesse intenzioni dell'autore) il testo modello per il canone degli Stilnovisti fiorentini: è la classica poesia di lode della bellezza della donna amata, ma con l'importante novità del valore religioso e spirituale dell'amore e, soprattutto, del nesso inscindibile tra amore e cuore nobile, che diventerà anch'esso un caposaldo della poesia di Dante e Cavalcanti. Il tutto è esemplificato attraverso una serie di paragoni tratti dal mondo naturale e dalla filosofia scolastica (le intelligenze angeliche), fino al congedo in cui Guinizelli immagina addirittura di dialogare con Dio per giustificare la propria poesia ai Suoi occhi. È questo anche il componimento in cui l'autore usa l'immagine della "donna-angelo", poi destinata ad essere ripresa dallo Stilnovo che ne farà l'elemento emblematico della propria lirica amorosa

► PERCORSO: La lirica amorosa






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Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ’l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ’l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.

Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ’l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ’nnamora.

Amor per tal ragion sta ’n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’ adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno:
vile reman, né ’l sol perde calore;
dis’ omo alter: «Gentil per sclatta torno»;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’ aigua porta raggio
e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [’n] nostr’occhi ’l sole:
ella intende suo fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [’n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,
sïando l’alma mia a lui davanti.
«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude».
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza».

L'amore ritorna sempre al cuore nobile come nella sua patria, proprio come l'uccello [torna] nella selva tra il fogliame; e la natura non ha creato l'amore prima del cuore nobile, né viceversa: allo stesso modo, infatti, non appena fu creato il sole, il suo splendore fu subito lucente e non c'era prima del sole; e l'amore prende dimora nella nobiltà in modo appropriato, come il calore nello splendore del fuoco.



Il fuoco dell'amore si attacca al cuore nobile come la virtù nella pietra preziosa, poiché dalla stella non vi discende alcuna proprietà prima che il sole l'abbia purificata; dopo che il sole ne ha tirato fuori grazie alla sua forza ciò che è vile, la stella le dà la sua proprietà: così la donna, come una stella, fa innamorare quel cuore che è creato dalla natura eletto, puro, nobile.




L'amore sta nel cuore nobile per la stessa ragione per cui il fuoco sta in cima al candelabro: vi risplende chiaro e sottile a suo piacere; non potrebbe starvi in altro modo, tanto è fiero [tende verso l'alto]. Così una natura malvagia 
respinge l'amorecome fa l'acqua col fuoco caldo, per il freddo. L'amore prende luogo nel cuore nobile come luogo simile a sé, come il diamante nel minerale di ferro.



Il sole colpisce il fango tutto il giorno: esso rimane vile, né il sole perde il suo calore; l'uomo altezzoso dice: «Sono nobile per nascita»; io paragono lui al fango e la nobiltà al sole: infatti non bisogna credere che la nobiltà sia fuori del cuore, nella dignità dell'erede se questi non ha un cuore nobile e virtuoso, come l'acqua è attraversata dai raggi luminosi e il cielo trattiene le stelle e il loro splendore.



Dio creatore splende nella intelligenza del cielo [gli angeli] più di quanto faccia il sole nei nostri occhi: essa [l'intelligenza angelica] conosce il suo creatore al di là del cielo e, facendolo ruotare, prende ad obbedirgli; e come a ciò segue, immediatamente, l'esecuzione felice della volontà di Dio, così, in verità, la bella donna quando risplende negli occhi dell'uomo nobile dovrebbe dargli il desiderio di non smettere mai di obbedirle.



Donna, quando la mia anima sarà davanti a Dio [dopo la morte] Egli mi dirà: «Come hai osato? Hai oltrepassato il cielo e sei venuto sino a Me, usando la mia figura come immagine per un vano amore: a Me si convengono le lodi, come alla Regina del Paradiso [la Vergine] per la quale viene meno ogni frode». Gli potrò rispondere: «[La donna] aveva l'aspetto di un angelo del Tuo regno; non sbagliai se posi in lei il mio amore».



Interpretazione complessiva

  • Metro: canzone formata da sei stanze di dieci versi ciascuna (endecasillabi e settenari), con schema della rima ABABcDcEdE (l'ultima stanza funge da congedo). Le stanze 1-5 sono capfinidas: "foco" (vv. 10-11), "'nnamora/amor" (vv. 20-21), "ferro/fere" (vv. 30-31, legame solo di suono), "splendore/splende" (vv. 40-41). La lingua presenta provenzalismi ("rempaira", v. 1, che significa propriamente "torna in patria"; "aigua", vv. 26, 39; "amanza", v. 60), forme bolognesi ("doplero", v. 22; "dis[e], v. 33; "sïando", v. 52), latinismi ("adamàs", v. 30).
  • La canzone divenne il vero "manifesto" dello Stilnovo, soprattutto ad opera di Dante e Cavalcanti che individuarono in Guinizelli il modello a cui ispirarsi per il nuovo modo di poetare: Dante, in particolare, cita il testo in DVE, I, 9 e II, 5, mentre il sonetto Amore e 'l cor gentil sono una cosa(Vita nuova, cap. XX) riprende il concetto fondamentale del componimento guinizelliano, così come le parole di Francesca in Inf., V riecheggiano il v. 11 (► TESTO: Paolo e Francesca). La novità della canzone di Guinizelli sta soprattutto nel nesso inscindibile che viene posto tra amore e cuore nobile ("gentile", secondo la terminologia stilnovista), su cui è imperniata la prima parte del testo (stanze 1-3), nell'esaltazione della nobiltà di cuore a scapito di quella di sangue (st. 4), nel valore religioso e spirituale che viene assegnato all'amore (st. 5, in cui c'è la complessa similitudine con le intelligenze angeliche), nel concetto divenuto poi fondamentale di "donna-angelo" (st. 6). Lo stile di Guinizelli è retoricamente elevato e il linguaggio ricco di riferimenti naturalistici e dottrinali, il che fa capire perché i poeti siculo-toscani lo accusarono di astrusità e poca chiarezza (► TESTO: Voi, ch'avete mutata la mainera).
  • Nelle prime tre stanze il concetto fondamentale della canzone, ovvero il fatto che l'amore non può risiedere altrove che in un cuore nobile, viene esemplificato attraverso una serie di immagini del mondo fisico: l'amore torna nel cuore nobile come nella sua sede naturale, come l'uccello si rifugia nella selva (vv. 1-2), inoltre i due elementi sono connaturati come il sole e il suo splendore (vv. 3-10); il cuore nobile è paragonato a una pietra preziosa, che riceve la proprietà dalla stella solo dopo che il sole ne ha cancellato ogni impurità (vv. 11-20, con riferimento alla credenza medievale per cui le pietre avevano poteri particolari per influsso astrale, come detto nei lapidari); l'amore è poi paragonato alla fiamma che arde in cima al candelabro e ogni natura malvagia lo respinge proprio come l'acqua fredda spegne il fuoco (vv. 21-27, con l'ulteriore paragone del diamante, dotato secondo le nozioni del tempo di proprietà magnetiche e che perciò è attirato dal ferro). Nella stanza 4 c'è un'ulteriore immagine naturalistica con il paragone del fango colpito dal sole, che rimane vile come l'uomo nobile per nascita che, in realtà, non possiede alcuna virtù, come anche l'acqua è attraversata dalla luce che non trattiene: la polemica è contro l'antica nobiltà feudale che rivendicava i suoi privilegi in forza del proprio sangue, mentre Guinizelli (e poi Dante) metteranno la nobiltà in relazione ai sentimenti e alle virtù.
  • La stanza 5 arricchisce la trattazione dell'amore con il complesso e discusso paragone con le intelligenze angeliche, che sono liete di obbedire a Dio muovendo le sfere celesti proprio come l'uomo innamorato è felice di obbedire alla donna-angelo: il passo non è chiarissimo anche a causa della tradizione manoscritta corrotta, benché sia evidente il tentativo di innalzare la materia amorosa col riferimento alla dottrina aristotelico-tomistica degli ordini angelici, che presiedono al movimento dei cieli e riversano sulla Terra gli influssi divini (il concetto riprende quello delle stelle e delle pietre preziose della stanza 2). L'amore viene visto come un sentimento elevato, spirituale, mentre la figura femminile si carica di significati religiosi e salvifici che saranno ulteriormente sviluppati dallo stesso Guinizelli in altri componimenti (► TESTO: Io voglio del ver la mia donna laudare) e poi da Dante e Cavalcanti. L'ultima stanza (congedo) chiarisce una volta di più il concetto della "donna-angelo", con Guinizelli che immagina di essere rimproverato da Dio dopo la sua morte per aver osato paragonare a Lui e agli angeli un amore terreno e lui che si giustifica adducendo la bellezza "angelica" della donna, forse con qualche elemento di auto-ironia (la novità è evidente e spiega da un lato l'ostilità dei poeti siculo-toscani, dall'altra l'ammirazione dei poeti fiorentini che si riconoscevano nel magistero di Guinizelli).