William Shakespeare nasce il 23 aprile 1564 a Stratford-upon-Avon, nel nord di Londra  da una famiglia di ceto medio. La sua conoscenza del greco, del latino e della retorica lascia supporre che abbia frequentato la scuola pubblica di Stratford.

A diciotto anni sposa Anne Hathaway, una ragazza che ha 8 anni più di lui. La coppia avrà tre figlidalla quale avrà tre figli: una bimba e due gemelli.

Dal 1585 al 1592 si hanno scarse notizie di Shakespeare. Si sa però che si trasferì a Londra per lavorare nel teatro. Pare che Shakespeare si sarebbe inizialmente guadagnato da vivere  custodendo  i cavalli dei gentiluomini  all’ingresso dei teatri. Ciò che è certo, è che inizia a scrivere.

Il 1592 è un anno importante tanto nella storia di Londra che nella vita di Shakespeareperché è in quest’anno che scoppia l’epidemia di peste nella capitale, fatto che costringerà i teatri a chiudere per quasi due anni permettendo allo scrittore di inserirsi nell’ambiente di Corte e di farsi conoscere anche come poeta.

 

Alla riapertura dei teatri nel 1594,Shakespeare si unisce alla compagnia dei Lord Chamberlain's Men che fonderà, nel 1599, il GLOBE, il teatro simbolo dell’epoca elisabettiana, nel quale è ancora oggi possibile assistere a rappresentazioni di opere shakespeariane. Il vero riconoscimento per William Shakespeare e la sua compagnia giunge però nel 1603 quando, alla morte di Elisabetta I, il re Giacomo I “adotta” i Chamberlain’s Men che diventano così i King’s Men, fatto che consacra la compagnia e lo stesso Shakespeare al successo. Nel 1613 lo scrittore aveva guadagnato abbastanza da riuscire a ritirarsi nella città natale dove morirà tre anni più tardi, il 23 aprile 1616, esattamente a 52 anni

Il teatro di Shakespeare

 

William Shakespeare

 

insieme a Omero e Dante è considerato l'autore irrinunciabile delle letterature occidentali 

 

Autore inglese vissuto fra 500 e 600 è il piú importante autore di teatro delle letterature occidentali per il teatro. Autore di commedie  e tragedie e di poesia
Shakespeare tiene la distinzione fra commedia e tragedia, ma reinserisce elementi tragici e comici in entrambi i tipi di testi.

Questa scelta è dovuta al fatto che al tempo di Shakespeare, il teatro era un evento popolare ( come oggi andare allo stadio) il pubblico, quindi era molto variegato e bisognava attrarre l'attenzione di tutti i tipi di spettatore

 

Shakespeare rinnova totalmente il teatro

Alla base del teatro di Shakespeare troviamo i profondi cambiamenti dell'epoca. Ogni autore rispecchia il momento storico politico e culturali in cui vive.

Cambiamenti in Inghilterra sono su vari piani:

- Politico: si impone la monarchia Tutor

- Sociale: ascesa della borghesia

- Religioso: affermazione del Protestantesimo

- Culturale: rinascimento inglese (in Italia c'è stato nel '500)

 

I temi

Cultura barocca (sovrabbondanza, eccesso, voglia di meravigliare)

Ripensamento di tutti i valori dovuti al cambiamento culturale. Nell'uomo cambia la fiducia nei confronti del mondo. L'uomo si pone delle domande esistenziali e non sa trovare le risposte nella fede, né nella politica. L'arte è il miglior modo di condividere queste riflessioni.

 

Ci sono due domande che Shakespeare si pone e che rappresenta nel suo teatro: Chi è l'uomo? Perchè nasciamo e siamo al mondo?

 

Il teatro è quindi diventa un momento di riflessione individuale (il teatro classico invece era un momento di riflessione collettiva)

A queste domande Shakespeare non da una risposta univoca, ma mette in evidenza, divolta in volta, diverse sfaccettature dell'esistenza. Le contraddisioni dell'esistenza vengono messe in scena di volta in volta.

 

Le forme:

Centralità del teatro : teatro come evasione e riflessione personale: Il teatro può nascere da qualsiasi aspetto della quotidianità.

 

Sono in particolare 2 le parole chiave:

  • Spettacolarizzazione (tutto può essere messo in scena)

  • Libertà (dalle alle regole che aveva dato Aristotele e che tutti gli autori di teatro avevano sempre rispettato: unità di azione, di tempo e di spazio)

 

 

Vediamo meglio queste libertà:

Libertà linguistica ed espressiva: grande fioritura di immagini e metafore

Libertà nell'intreccio: Libertà dalle costrizioni dello spazio e del tempo: sovrappone in un unica scena luoghi e momenti differenti. Mescola spazi , tempi e luoghi quindi non rispetta le regole aristoteliche sul teatro.

Libertà nella scenografia: a volte usa una scenografia molto particolareggiata e fantasiosa, innovativa, ma è capace anche di ridurre al minimo la scenografia per dare maggior risalto alle parole degli attori. La povertà dell'allestimento diviene uno stimolo per la creatività della parola

Libertà nei generi: mescola tragedia e commedia. Nelle commedie ci sono anche parti tragiche e nelle tragedie ci sono anche parti comiche

Libertà nei luoghi e nei dialoghi: uso di molte immagini e metafore

Libertà nell'uso delle fonti: modifica a suo piacimento più fonti e trame

 

Libertà dalle regole: mescola comico e tragico

 

ESSERE O NON ESSERE  (Amleto, atto terzo, scena prima)

 

To be, or not to be nell'originale inglese) è una frase dell'Amleto di William Shakespeare.

 

La battuta viene pronunciata dal principe Amleto all'inizio del soliloquio che apre la prima scena del terzo atto della tragedia. È una delle frasi più celebri della letteratura di tutti i tempi, ed è stata oggetto di numerosi studi e diverse interpretazioni. L'interrogativo esistenziale del vivere (essere) o morire (non essere) è alla radice dell'indecisione che impedisce ad Amleto di agire (il famoso «dubbio amletico»). Spesso è stato associato all'idea del suicidio.

 

VERSIONE ORIGINALE IN INGLESE

« To be, or not to be, that is the question:
Whether ’tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them? To die, to sleep…
No more, and by a sleep to say we end
The heartache and the thousand natural shocks
That flesh is heir to: ’tis a consummation
Devoutly to be wished. To die, to sleep.
To sleep, perchance to dream. Ay, there’s the rub,
For in that sleep of death what dreams may come
When we have shuffled off this mortal coil
Must give us pause. There’s the respect
That makes calamity of so long life,
For who would bear the whips and scorns of time,
Th’oppressor’s wrong, the proud man’s contumely,
The pangs of despis’d love, the law’s delay,
The insolence of office, and the spurns
That patient merit of th’unworthy takes,
When he himself might his quietus make
With a bare bodkin? Who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscovered country from whose bourn
No traveller returns, puzzles the will,
And makes us rather bear those ills we have
Than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all,
And thus the native hue of resolution
Is sicklied o’er with the pale cast of thought,
And enterprises of great pitch and moment
With this regard their currents turn awry,
And lose the name of action. »

TRADUZIONE IN ITALIANO

« Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna
o prendere le armi contro un mare di affanni
e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.
Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,
il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo,
gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge,
l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione. »