Giosue Carducci nasce a Valdicastello in Versilia il 27 luglio 1835.

Trascorre gli anni dell’infanzia a Bolgheri, nella Maremma toscana, dove il padre, perseguitato per le sue idee politiche, era stato esiliato.

In seguito, Giosue Carducci si trasferisce con la famiglia a Firenze dove, a 21 anni,  consegue la laurea in Lettere alla Scuola Normale di Pisa.

Nel 1860 ottiene la cattedra di Letteratura italiana all’Università di Bologna (tra i suoi allievi Giovanni Pascoli).

Nel 1890 viene nominato senatore.

Nel 1906 è il primo italiano a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura.

Il 16 febbraio 1907 muore a Bologna.

 

La vita di Giosue Carducci fu interamente dedicata agli studi, alla poesia, all’impegno politico.

Uomo e poeta di forte temperamento, affrontò le vicende politiche italiane e il dibattito culturale della seconda metà dell’Ottocento con spirito battagliero e vigore polemico.

 In politica fu interprete delle delusioni di quella generazione che, dopo aver partecipato attivamente alla lotta risorgimentale, dapprima si era sentita tradita nei propri ideali e poi aveva finito con l’accettare la realtà, aderendo al progetto monarchico – costituzionale del nuovo Stato italiano.

Giosue Carducci sognava un rinnovamento della coscienza italiana e si ispirò al mondo classico, perché gli sembrava che nell’antica Roma ci fosse un senso della vita più alto e dignitoso.

Proprio per questo ruolo di formatore della coscienza civile e morale dei suoi concittadini, venne considerato il poeta vate, ossia il poeta simbolo della nazione italiana.

Giosue Carducci disprezzava il Romanticismo, specialmente quello languido e sentimentale del secondo Ottocento.  In contrapposizione al romanticismo Carducci riproponeva invece il valore dei modelli classici di cui apprezzava specialmente la nitidezza e la precisione della lingua italiana.

Giosue Carducci utilizza un linguaggio classico e colto, lontano dall’uso parlato, tutto costruito attraverso lo studio, come si conviene a un poeta-professore, che si era educato sulle pagine dei grandi scrittori del passato.

Ma se andiamo al di là di questo «schermo» linguistico, scopriamo un mondo umano e fantastico molto semplice. Ci sono gli aspetti della natura (un paesaggio, i profumi della terra, il colore delle foglie o del cielo, la luce di una particolare ora del giorno) espressione dei sentimenti, delle memorie dell’infanzia o dei pensieri sulla storia e sul destino degli uomini.

La primavera e l’estate (il caldo, la luce, i colori dei fiori e dei frutti) danno un senso di vitalità piena e felice; l’autunno, le foglie che si staccano, la terra fredda da cui nulla germoglia sono invece segni di malinconia e di morte.

A volte si avverte nelle liriche di Giosue Carducci un’insoddisfazione profonda che lo spinge a rievocare con nostalgia il passato: può trattarsi del passato storico (l’età dei Comuni per esempio) o il proprio vissuto autobiografico, con la fanciullezza trascorsa in Maremma o le figure dei familiari scomparsi.

 

 

Vasta fu la sua produzione di poeta, di prosatore e di critico. Alle prime raccolte giovanili di Juvenilia (1860) e di Levia gravia (1868) seguirono quelle più significative sul piano artistico: Giambi ed epodi (1887), Rime nuove (1887), Odi barbare (1893), Rime e ritmi (1899).

 

 

 

 

 

 

 

                      SAN MARTINO

SAN MARTINO di Giosuè Carducci

San Martino è senza dubbio una delle poesie più celebri di Giosuè Carducci, dal testo musicale e dal ritmo incalzante al punto da sembrare una filastrocca. Il testo autografo ci dà dettagliatissime notizie circa il momento di stesura: riporta infatti in calce la data «8 dicembre 1883: finito ore 3 pomeridiane» e ci dice, inoltre, che prima di ricevere la denominazione attuale San Martino era stata intitolata Autunno.

L’ode, rivista e modificata, è stata poi inserita da Carducci in Rime nuove, la raccolta poetica che contiene liriche composte negli anni che vanno dal 1861 al 1887.

Ritratto paesaggistico della tanto amata terra maremmana, nella quale si fanno spazio le emozioni e i pensieri dell’autore, San Martino è un susseguirsi di percezioni legate alle sfere sensoriali della vista, dell’udito e dell’olfatto.

testo

parafrasi

1.         La nebbia a gl'irti colli

2.         piovigginando sale,

3.         e sotto il maestrale

4.         urla e biancheggia il mar;

 

5.         ma per le vie del borgo

6.         dal ribollir de' tini

7.         va l'aspro odor de i vini

8.         l'anime a rallegrar.

 

9.         Gira su' ceppi accesi

10.      lo spiedo scoppiettando:

11.      sta il cacciator fischiando

12.      sull'uscio a rimirar

 

13.      tra le rossastre nubi

14.      stormi d'uccelli neri,

15.      com'esuli pensieri,

16.      nel vespero migrar.

La nebbia sale lungo i colli scoscesi

trasformandosi in lieve pioggerella,

e sotto il maestrale il mare rumoreggia

e si copre della spuma bianca delle onde;

 

ma le vie del borgo sono pervase

dall’odore aspro di vino che esce dai tini,

ribollenti mentre il mosto fermenta

e rallegra gli animi.

 

Lo spiedo gira sui ceppi

che bruciano e scoppiettano:

il cacciatore, fischiando,

sta sull’uscio di casa a osservare

 

stormi di uccelli neri

che, tra le nubi rossastre,

migrano nel tramonto

come pensieri che si vorrebbero mandare   via lontano

 

La nebbia, sciogliendosi in una lieve pioggerella, risale per le colline rese ispide (irti colli, perché i loro alberi in autunno sono spogli e scheletrici) dalle piante ormai prive di fogliame e, spinto dal vento freddo di nordovest (maestrale), il mare in burrasca é bianco di spuma e rumoreggia frangendosi sulla scogliera (urla – personificazione del mare).

Ma (la congiunzione avversativa serve per contrapporre al paesaggio desolato la vivacità del borgo in piena attività) per le vie del piccolo paese contadino (borgo: Bolgheri il paese dell'infanzia di Carducci) si diffonde, dai tini dove fermenta il mosto (ribollir de’ tini - metonimia), l’odore aspro (aspro odor - sinestesia) del vino nuovo che rallegra i cuori [Allitterazione - la ripetizione del suono r nella seconda strofa le conferisce un timbro festoso] .

E intanto sulla brace del focolare scoppiettano le gocce di grasso che cadono dallo spiedo su cui cuoce la cacciagione (Gira…scoppiettando - anastrofe); e il cacciatore se ne sta sull'uscio a guardare stormi di uccelli che, a contrasto con le rosse (rossastre, per la luce del tramonto) nubi, sembrano neri, come quei pensieri (similitudine uccelli-pensieri) che  si vorrebbe mandar via lontano (esuli.. migrar) al tramonto (vespero, l'ora del vespro, coincidente all'incirca con il tramonto).

 

Analisi e commento:

Bozzetto paesaggistico: siamo in Maremma e d’autunno (il giorno di San Martino é l’11 novembre, autunno avanzato, nella tradizione contadina rappresentava la fine del lavoro nei campi e l’inizio della svinatura). Alla malinconia del tramonto autunnale il Poeta contrappone l’atmosfera festosa di un borgo (Bolgheri, luogo caro al Poeta) dove si preparano gli spiedi ed ovunque si diffonde il profumo del mosto che fermenta. Sull’uscio di una casa un cacciatore osserva degli uccelli neri nel cielo che migrano, andandosene come tristi pensieri.

L’inquietudine interiore del Poeta é ben simboleggiata dall’immagine degli uccelli neri che come esuli pensieri volano lontano verso il tramonto.

Nella lirica ci sono fenomeni descrivibili con la vista (nebbia irti colli) con l’udito (urla,fischiando) con l’odorato(aspro odor)e fenomeni naturali  (nebbia pioggia mare) e antropici(ceppi spiedo).

 

Metrica:

E' un’ode anacreontica (come "Pianto antico) composta da quattro quartine di settenari (di cui i primi tre piani e il terzo tronco) con schema ABBC. L'ultimo settenario di ogni strofa é tronco e ha rima identica nelle quattro quartine. Il lessico é per lo più colloquiale e il ritmo é reso agile dai versi brevi.

Ode  Anacreontica perché scritta sullo stile di Anacreonte, antico poeta greco che trattava di argomenti  leggeri, amorosi o bacchici. 

 

OSSERVAZIONI:

1 gl’irti: in tutta la poesia si assiste a una ricerca fonica orientata verso suoni aspri e secchi (“maestrale”, “urla”, “aspro odor”, “rossastre”, “migrar”).

2 La prima quartina si concentra, con tocco impressionistico, sulla situazione meteorologica di San Martino, focalizzando il passaggio delle nuvole temporalesche sui colli circostanti il borgo antico.

3 maestrale: vento che proviene da nord-ovest. È un vento freddo, che spesso, nelle località di mare, porta con sé forti tempeste.

4 urla e biancheggia: per le onde e il vento. Il mare, agitato dal vento, è quasi personificato, mentre la gamma sensoriale è ampliata alle sfumature uditive e coloristiche.

5 tini: recipienti in cui il vino viene messo a fermentare. La seconda quartina, incentrata sulle attività umane all’interno del borgo, vede la prevalenza delle sensazioni olfattive.

6 rallegrar: il ritmo della quartina è ascendente e segue l’atmosfera più festosa e rilassata del paese.

7 scoppiettando: le sensazioni acustiche sono quelle che caratterizzano questa terza quartina, che celebra la via sana e semplice dei piccoli borghi toscani.

 

8 L’ultima quartina, come bilanciando le precedenti, mette in rilievo le impressioni visive e coloristiche, nel momento del crepuscolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PIANTO ANTICO

 

PIANTO ANTICO dalla raccolta Rime nuove 1887 (la poesia, però, è stata scritta nel giugno del 1871)

Forma metrica Ode anacreontica, composta da quattro quartine di settenari. Schema delle rime ABBC. Gli ultimi versi di ogni strofa rimano tra loro

 

Testo

 

Parafrasi

 

1. L'albero a cui tendevi

2. la pargoletta mano,

3. il verde melograno

4. da' bei vermigli fior,

 

5. nel muto orto solingo

6. rinverdì tutto or ora

7. e giugno lo ristora

8. di luce e di calor.

 

9. Tu fior della mia pianta

10. percossa e inaridita,

11. tu dell'inutil vita

12. estremo unico fior,

 

13. sei ne la terra fredda,

14. sei ne la terra negra;

15. né il sol più ti rallegra

16. né ti risveglia amor.

1. Quell’albero verso cui allungavi

2. la piccola mano,

3. quel melograno verdeggiante

4. dai bei fiori rossi

 

5. nel silenzioso giardino solitario

6. è rifiorito tutto da poco

7. e il mese di giugno lo nutre

8. di luce e di calore.

 

9. Tu, figlio, fiore della mia pianta

10. maltrattata e ormai secca,

11. tu della mia vita inutile

12. ultimo e unico fiore,

 

13. sei sepolto nella terra fredda,

14. sei sepolto nella terra nera,

15. e il sole non ti rende più felice

16. né il mio amore ti risveglia più.

 

 

L’albero verso cui tendevi la piccola mano, quel melograno verdeggiante dai bei fiori rossi nel silenzioso giardino solitario, è tutto rifiorito da poco e il mese di giugno lo nutre con la luce e il calore.

Tu, figlio, fiore della mia pianta colpita (dal dolore) e ormai inaridita, tu, ultimo e unico fiore della mia vita inutile, sei sepolto nella terra fredda, sei sepolto nella terra nera, e il sole non ti rende più felice né il mio amore ti risveglia più.

Pianto antico, una delle liriche più famose di Carducci, fu composta nel 1871, in memoria del figlio Dante, morto l’anno precedente a soli tre anni. L’aggettivo “antico” del titolo rimanda ad un dolore che ha sempre colpito l’uomo, insieme all’interrogativo del perché si possa morire così giovani, cui la logica umana non può rispondere. Non c’è la Provvidenza a dare spiegazioni e senso alla morte e neanche il valore della poesia esternatrice che trovavamo in Manzoni o in Foscolo, solo il dolore intimo e inspiegabile di un laico.

Tutta la poesia si fonda su una forte opposizione vita-morte, attraverso l’antitesi, perfettamente simmetrica, tra immagini luminose e vitali, che popolano le prime due strofe (“verde melograno”; “bei vermigli fior”; “luce e calor”) e vogliono rappresentare, con note coloristiche, la grande vitalità della natura primaverile che rinasce dopo il lungo inverno, e immagini scure e desolate (“percossa e inaridita”; “de l’inutil vita / estremo unico fior”; “terra fredda”; “terra negra”), caratterizzanti le ultime due in cui predomina, al contrario, il tema dell’assenza di forza vitale e di amore

già al verso 5 la presenza del “muto orto solingo” anticipa il clima della seconda parte del componimento; inoltre, anche la menzione del melograno può rimandare alla morte, in quanto, nella mitologia classica, era la pianta cara a Persefone, la dea degli Inferi.

 

Figure Retoriche

·         Allitterazioni della “R”:”albeRo”, “paRgoletta”, “veRde”, “melogRano”, “veRmigli”, “fioR”, “oRto”, “rinveRdì”, “oR”, “oRa”, “RistoRa”, “caloR”, “peRcossa”, “inaRidita”, “estRemo”, “fRedda”, “teRRa”, “negRa”, “allegRa”, “Risveglia”, “amoR”;

·         Enjambements “tendevi / la pargoletta mano” (vv. 1-2); “pianta / percossa e inaridita” (vv. 9-10); “de l’inutil vita / estremo unico fior” (vv. 11-12);

·         Anafore “tu… tu” (vv. 9, 11); “sei… sei” (vv. 13-14); “né… né” (vv. 15-16);

·         Metafore “tu fior de la mia pianta / percossa e inaridita” (vv. 9-10); “tu de l’inutil vita / estremo unico fior” (vv. 11-12);

·         Personificazione “muto orto solingo” (v. 5);

·         Chiasmo “né il SOL più ti rallegra / né ti risveglia AMOR” (vv. 15-16);

·         Antitesi “luce” (v. 8) vs “negra” (v. 14); "calor" (v. 8 ) vs "fredda" (v. 13);

 

·         Anastrofe “de l’inutil vita / estremo unico fior” (vv. 11-12)

 

 

 

 

 

 

TRAVERSANDO LA MAREMMA TOSCANA

 

 

 

"Traversando la maremma toscana"

 

 

È il 10 aprile del 1885: Carducci parte da Livorno diretto a Roma e durante il viaggio attraversa la Maremma, una zona della Toscana dove ha vissuto da ragazzo. Pochi giorni dopo, il 21 aprile, compone questo sonetto entrato a far parte delle Rime nuove

Tema dominante è il ricordo del passato, pieno di serena dolcezza (‘l sorriso), a cui fa contrasto la tristezza del presente (il pianto). La Maremma è una terra aspra e selvaggia: il poeta la conosce bene (ben riconosco in te le usate forme e sente di somigliarle, di aver preso da lei il carattere forte e fiero.

 Ripensando alla sua vita, comprende che i sogni, le passioni, gli ideali per cui ha lottato e si è speso non si sono realizzati e che la morte è ormai vicina (dimani cadrò); ma la visione della campagna, il paesaggio (altro tema ricorrente nelle poesie di Carducci) - le colline, la nebbia che dirada, la verde pianura che sembra ridere sotto la pioggia – rasserenano il suo cuore e gli donano finalmente sollievo. La prima quartina del sonetto inizia con la parola dolce e la terzina finale con pace, separata dai versi precedenti mediante l’enjambement: sono le parole-chiave della poesia, le sensazioni profonde e delicate che la Maremma – terra dura e dolce paese insieme – fanno nascere nel cuore dell’inquieto viaggiatore.

Testo dell'opera

1. Dolce paese, onde portai conforme
2. L’abito fiero e lo sdegnoso canto
3. E il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,
4. Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.

5. Ben riconosco in te le usate forme
6. Con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
7. E in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
8. Erranti dietro il giovenile incanto.

9. Oh, quel che amai, quel che sognai, fu invano;
10. E sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
11. E dimani cadrò. Ma di lontano

12. Pace dicono al cuor le tue colline
13. Con le nebbie sfumanti e il verde piano
14. Ridente ne le pioggie mattutine.

Parafrasi 

1. Caro paese, da cui ho tratto identico
2. il carattere orgoglioso e la poesia polemica
3. e il cuore dove non smetto mai di provare odio e amore,
4. finalmente ti rivedo e il cuore mi sobbalza nel petto per un’emozione così grande.

5. Riconosco bene in te il tuo aspetto abituale,
6. con gli occhi che oscillano tra la gioia e il dolore
7. e in quelle immagini ritrovo il percorso dei miei sogni, 
8. agitati dietro le illusioni della giovinezza.

9. Oh, quello che ho amato, quello che ho sognato è stato inutile;
10. ho sempre corso e non ho mai raggiunto la meta
11. e domani morirò. Ma da lontano

12. portano pace nel cuore le tue colline,
13. con le nebbie che sfumano e la verde pianura
14. gradevole con le piogge del mattino.

Parafrasi discorsiva

Caro paese, da cui ho tratto identico il carattere orgoglioso e la poesia polemica e il cuore dove non smetto mai di provare odio e amore, finalmente ti rivedo e il cuore mi sobbalza nel petto per un’emozione così grande. Riconosco bene in te il tuo aspetto abituale, con gli occhi che oscillano tra la gioia e il dolore e in quelle immagini ritrovo il percorso dei miei sogni, agitati dietro le illusioni della giovinezza. Oh, quello che ho amato, quello che ho sognato è stato inutile; ho sempre corso e non ho mai raggiunto la meta e domani morirò. Ma da lontano portano pace nel cuore le tue colline, con le nebbie che sfumano e la verde pianura gradevole con le piogge del mattino.

Metrica: Dal punto di vista metrico il componimento è un sonetto; le quartine hanno rima ABAB, ABAB, le terzine CDC, DCD.

Possiamo notare le seguenti figure retoriche:
Enjambements “conforme / l’abito” (vv. 1-2); “le usate forme/ Con gli occhi” (vv. 5-6); “orme / erranti” (vv. 7-8); “ma di lontano / pace” (vv. 11-12); “piano / ridente” (vv. 13-14);

·         Apostrofe “dolce paese” (v. 1);

·         Allitterazioni della “e”: “Dolce paese, onde portai conforme” (v. 1); “ridente ne le piogge mattutine” (v. 14); della “o”: “l’abito fiero e lo sdegnoso canto” (v. 2); della “s”: “e sempre corsi, e mai non giunsi il fine” (v. 10);

·         Chiasmo “l’abito fiero e lo sdegnoso canto” (v. 2);

·         Metonimia “petto” (v. 3);

·         Anafora “E il petto ov’odio… E in quelle seguo… E sempre corsi… E dimani cadrò” (vv. 3, 7, 10, 11);

·         Anastrofi “dei miei sogni l’orme” (v. 7); “pace dicono al cuor le tue colline” (v. 12);

·         Metafora “cadrò” (v. 11);

 

·         Antitesi “dolce – fiero e sdegnoso” (vv. 1-2); “odio e amor” (v. 3) “tra il sorriso e il pianto” (v. 6)