Tipologia B, Ambito Tecnico-Scientifico. Argomento: Tecnologia pervasiva

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DOCUMENTI 

Anche la Silicon Valley ha la sua religione. E potrebbe presto diventare il paradigma dominante tra i vertici e gli addetti ai lavori della culla dell’innovazione contemporanea. È il «transumanismo» e si può definire, scrive il saggista Roberto Manzocco in “Esseri Umani 2.0” (Springer, pp. 354), come «un sistema coerente di fantasie razionali para-scientifiche», su cui la scienza cioè non può ancora pronunciarsi, «che fungono da risposta laica alle aspirazioni escatologiche delle religioni tradizionali». Per convincersene basta scorrerne i capisaldi: il potenziamento delle nostre capacità fisiche e psichiche; l’eliminazione di ogni forma di sofferenza; la sconfitta dell’invecchiamento e della morte. Ciò che piace ai geek della Valley è che questi grandiosi progetti di superamento dell’umano nel “post-umano” si devono, e possono, realizzare tramite la tecnologia. E tecniche, la cui fattibilità è ancora tutta da scoprire, come il “minduploading”, ossia il trasferimento della coscienza su supporti non biologici, e le “nanomacchine”, robot grandi come virus in grado di riparare le cellule cancerose o i danni da malattia degenerativa direttamente a livello molecolare.



Fabio CHIUSI, TRANS UMANO la trionferà, l’Espresso - 6 febbraio 2014 

Lord Martin Rees, docente di Astrofisica all’Università di Cambridge e astronomo della Regina, la vede un po’ diversamente: i robot sono utili per lavorare in ambienti proibitivi per l’uomo — piattaforme petrolifere in fiamme, miniere semidistrutte da un crollo, centrali in avaria che perdono sostanze radioattive — oltre che per svolgere mestieri ripetitivi. Ma devono restare al livello di «utili idioti: la loro intelligenza artificiale va limitata, non devono poter svolgere mestieri intellettuali complessi. L’astronomo della Corte d’Inghilterra, occhi rivolti più alle glorie del passato che alle speranze e alle incognite di un futuro comunque problematico, propone una ricetta che sa di luddismo. Una ricetta anacronistica ed estrema che si spiega con l’angoscia che prende molti di noi davanti alla rapidità con la quale la civiltà dei robot — della quale abbiamo favoleggiato per decenni e che sembrava destinata a restare nei libri di fantascienza — sta entrando nelle nostre vite. Che i robot stiano uscendo dalle fabbriche lo sappiamo da tempo: il bancomat è un bancario trasformato in macchina, in servizio notte e giorno. In molti supermercati il cassiere non c’è più, sostituito da sensori, lettori di codici a barre, sistemi di pagamento automatizzati. In Giappone e Francia si moltiplicano treni e metropolitane guidati da un computer (è così la nuova Linea 5 della metropolitana di Milano), così come tutti i convogli che si muovono all’interno dei grandi aeroporti del mondo sono, ormai, senza conducente.



Massimo GAGGI, E il robot prepara cocktail e fa la guerra, “Corriere Della Sera. La Lettura” - 26 gennaio 2014 

Per molto tempo al centro dell'attenzione sono state le tecnologie e gli interrogativi che si portano dietro: «Meglio i tablet o i netbook?», «Android, iOs o Windows?», seguiti da domande sempre più dettagliate «Quanto costano, come si usano, quali app...». Intanto i docenti hanno visto le classi invase da Lim, proiettori interattivi, pc, registri elettronici o tablet, senza riuscire a comprendere quale ruolo avrebbero dovuto assumere, soprattutto di fronte a ragazzi tecnologicamente avanzati che li guardavano con grandi speranze e aspettative. Per gli studenti si apre una grande opportunità: finalmente nessuno proibisce più di andare in internet, di comunicare tramite chat, di prendere appunti in quaderni digitali o leggere libri elettronici.



Dianora BARDI, La tecnologia da sola non fa scuola, “Il Sole 24 Ore” - 12 gennaio 2014 

Passando dal tempo che ritorna al tempo che invecchia, dal tempo ciclico della natura regolato dal sigillo della necessità al tempo progettuale della tecnica percorso dal desiderio e dall’intenzione dell’uomo, la storia subisce un sussulto. Non più decadenza da una mitica età dell’oro, ma progresso verso un avvenire senza meta. La progettualità tecnica, infatti, dice avanzamento, ma non senso della storia. La contrazione tra “recente passato” e “immediato futuro”, in cui si raccoglie il suo operatore, non concede di scorgere fini ultimi, ma solo progressi nell’ordine del proprio potenziamento. Null’altro, infatti, vuole la tecnica se non la propria crescita, un semplice sì a se stessa. L’orizzonte si spoglia dei suoi confini. Inizio e fine non si congiungono più come nel ciclo del tempo, e neppure si dilatano come nel senso del tempo. Le mitologie perdono la loro forza persuasiva. Tecnica vuol dire, da subito, cingendo degli dèi.



Umberto GALIMBERTI, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica - Feltrinelli, Milano 2002 

Svolgimento



Per “pervasivo”, è bene sottolinearlo, si intende qualcosa che tende a diffondersi ovunque e, in senso lato, qualcosa che arriva a prendere l’animo o la mente in modo completo. Quale aggettivo migliore, quindi, per definire la tecnologia, diventata nel corso degli ultimi anni sempre più presente nelle nostre vite, parte integrante delle nostre interazioni col mondo che ci circonda.

I social network sono diventati fondamentali nella nostra quotidianità, gli smartphone e i tablet sono oggetti che non si può non avere, gadget che portiamo sempre con noi e che all’occorrenza diventano delle vere e proprie finestre sul Mondo. Questa è soltanto la punta dell’iceberg, un assaggio di ciò che sarà il futuro.

I sostenitori del transumanismo ne sono convinti: le scoperte scientifiche e tecnologiche potranno aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, dalla malattia all'invecchiamento, anche a soprattutto in vista di una possibile trasformazione post umana.

La fantascienza è dietro l’angolo e il giornalista Massimo Gaggi, nel pezzo suggerito dalla traccia fornita dal Ministero dell’Istruzione, “E il robot prepara cocktail e fa la guerra”, scrive: 

Ne parliamo tanto nei giornali e sui siti perché tutto ciò colpisce la fantasia, anche se la sostituzione di autisti e camion delle consegne è ancora lontana, se non altro per motivi regolamentari e requisiti di sicurezza. Ma ci sono molti altri mestieri che il progresso delle tecnologie informatiche sta già meccanizzando con modalità meno spettacolari che non catturano l’attenzione dei media, dai lavori di contabilità alla lettura a raggi X e altre analisi mediche. Andando avanti così, sospirano in molti, nelle fabbriche automatiche ci sarà lavoro solo per l’uomo delle pulizie. Ignorando che sono già diffusi i robottini, figli del Roomba, capaci di pulire ogni angolo dello stabilimento.



La tecnologia va avanti, mai così velocemente come in questo periodo, è noi rischiamo di rimanere indietro, la scuola rischia di restare ancorata al passato e sottovalutare questa rivoluzione. Sempre più lavori che per anni, decenni, sono stati svolti da essere umani sono in via di sostituzione da parte delle macchine e proprio per questo motivo occorre adeguarsi. Non è un caso che Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, docenti del MIT di Boston, suggeriscono di rivoluzionare la scuola e di focalizzare l’attenzione degli studenti sulla creatività, sullo sviluppo critico del pensiero e dell’empatia.

In questo modo, lo sostengono i due docenti, saremo in grado di cavalcare con successo la tecnologia e creare nuovi mestieri.

E’ dello stesso parere Dianora Bardi, firma di un altro dei pezzi suggeriti dal MIUR, La tecnologia da sola non fa scuola, che si concentra sulla scuola italiana e pone l’accento sulle tante difficoltà che la stessa si trova ad affrontare, proprio perchè impreparata e per nulla impostata sul progresso, tecnologico e non solo. 

Per gli studenti si apre una grande opportunità: finalmente nessuno proibisce più di andare in internet, di comunicare tramite chat, di prendere appunti in quaderni digitali o leggere libri elettronici. Dall'altra parte i docenti, che dovrebbero essere gli artefici di questa rivoluzione, sono in gran parte impreparati e troppo spesso, per incapacità di comprendere il mutamento, sono rimasti ancorati alla lezione frontale restando dietro la cattedra per paura di entrare in un'agorà in cui sanno di essere apparentemente perdenti.



Da qualche anno computer, internet e tablet hanno fatto la loro apparizione nelle scuole italiane, ma l’istituzione non ha ancora ben capito come bisogna farci, come è necessario utilizzarli e sfruttarli al meglio per costruire il futuro di un Paese preparato e pronto al cambiamento.

Il web fornisce già da solo un importante strumento per l’apprendimento, una conoscenza senza limiti che deve però essere seguita, specialmente a scuola. Internet e la tecnologia non ci permettono soltanto di apprendere, ma anche a soprattutto di intergiare, non solo con persone e studenti come noi, ma con ragazzi di altre scuole e di altri Paesi, in uno scambio continuo e costante che non può che giovare alla formazione delle giovani menti. 

Sperimentazioni importanti stanno nascendo in tutta Italia, in scuole che si possono definire veramente innovative per la qualità dell'integrazione delle tecnologie nella didattica giornaliera nonostante aule inadeguate, spazi tradizionali, grandi banchi e vecchie sedie di legno o di plastica, reti insufficienti. Un gran numero di docenti ha raccolto la sfida di una didattica diversa, si aggiorna con grande fatica e prova a mettersi in gioco con umiltà e curiosità.



Nel suo “Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica”, Umberto Galimberti sviscera proprio questo concetto, sottolineando come noi, nel nuovo secolo, continuiamo a muoverci “con i tratti tipici dell'uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi, con un bagaglio di idee proprie e di sentimenti in cui si riconosceva. Il testo analizza in modo dettagliato e approfondito le tante facce della tecnica, la sua simbologia, la genealogia, la psicologia, la fenomenologia, la semiologia, la sociologia e l'antropologia.

Le trasformazioni a cui siamo sottoposti giorno dopo giorno sono tangibili, solo una manciata di anni fa l’idea di poter scrivere o leggere una mail dal proprio telefono era fantascienza, ma lo era anche controllare lo stato dei treni da un dispositivo portatile, prenotare un viaggio senza lasciare il divano di casa o, per citare gli eventi più recenti, prenotare un’automobile col proprio smartphone, scendere in strada e mettersi alla guida della stessa in pochi istanti.

Dire che ci siamo fatti trovate impreparati non è un assurdità, ma è anche vero che spesso, troppo spesso, sono le istituzioni e le infrastrutture a farsi trovare impreparate. Gli esempi si sprecano: Netflix, il futuro della fruizione di contenuti in streaming, guarda al nostro Paese con diffidenza per la mancanza di banda larga diffusa, la pubblica amministrazione fa fatica ad adeguarsi al progresso, il pagamento via smartphone nei negozi è ancora un miraggio per la quasi totalità degli italiani.

La classe politica continua a guardare con diffidenza alla tecnologia e forse qualcosa comincia a cambiare, ma la lentezza con cui questo sta succedendo è imbarazzante rispetto alla velocità del progresso e col passare degli anni diventa sempre più difficile, per non dire impossibile, raggiungere il progresso.

La diffusione di smartphone e tablet è capillare, e non soltanto tra i più giovani. I social network sono ormai stati sdoganati anche in quelle fasce di età che fino a pochi anni fa sembravano allergiche alla tecnologia, quindi non possiamo negare che l’impegno da parte dei cittadini ci sia. Nonne che giocano su Facebook e interagiscono con nipoti e familiari, mamme che utilizzano i social network per tenere sotto controllo i figli, casalinghe che pagano le bollette online, scuole che richiedono l’iscrizione degli studenti solo tramite Internet. Piccoli esempi che dimostrano come, seppur con un po’ di ritardo, l’intenzione di adeguarsi al progresso tecnologico c’è, resta soltanto l’arduo compito ci cambiare il Paese e le sue infrastrutture per stare al passo coi tempi.

Forse è presto per parlare già di transumanismo, ma la strada, che ci piaccia o meno, è quella, quindi tanto vale cominciare ad adeguarsi su tutti i fronti possibili.