INFERNO CANTO II

 

Testo

Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra 
da le fatiche loro; e io sol uno                                          3

m’apparecchiava a sostener la guerra 
sì del cammino e sì de la pietate, 
che ritrarrà la mente che non erra.                                  6

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; 
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, 
qui si parrà la tua nobilitate.                                             9

Io cominciai: «Poeta che mi guidi, 
guarda la mia virtù s’ell’è possente, 
prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.                                    12

Tu dici che di Silvio il parente, 
corruttibile ancora, ad immortale 
secolo andò, e fu sensibilmente.                                   15

Però, se l’avversario d’ogne male 
cortese i fu, pensando l’alto effetto 
ch’uscir dovea di lui e ’l chi e ’l quale,                           18

 


non pare indegno ad omo d’intelletto; 
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero 
ne l’empireo ciel per padre eletto:                                  21

la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, 
fu stabilita per lo loco santo 
u’ siede il successor del maggior Piero.                      24

Per quest’andata onde li dai tu vanto, 
intese cose che furon cagione 
di sua vittoria e del papale ammanto.                           27

Andovvi poi lo Vas d’elezione, 
per recarne conforto a quella fede 
ch’è principio a la via di salvazione.                               30

Ma io perché venirvi? o chi ’l concede? 
Io non Enea, io non Paulo sono: 
me degno a ciò né io né altri ’l crede.                           33

Per che, se del venire io m’abbandono,  
temo che la venuta non sia folle. 
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono».                     36

E qual è quei che disvuol ciò che volle 
e per novi pensier cangia proposta, 
sì che dal cominciar tutto si tolle,                                   39

tal mi fec’io ’n quella oscura costa, 
perché, pensando, consumai la ’mpresa 
che fu nel cominciar cotanto tosta.                                42

«S’i’ ho ben la parola tua intesa», 
rispuose del magnanimo quell’ombra; 
«l’anima tua è da viltade offesa;                                     45

la qual molte fiate l’omo ingombra 
sì che d’onrata impresa lo rivolve, 
come falso veder bestia quand’ombra.                        48

Da questa tema acciò che tu ti solve, 
dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi 
nel primo punto che di te mi dolve.                                51

Io era tra color che son sospesi, 
e donna mi chiamò beata e bella, 
tal che di comandare io la richiesi.                                54

Lucevan li occhi suoi più che la stella; 
e cominciommi a dir soave e piana, 
con angelica voce, in sua favella:                                   57

"O anima cortese mantoana, 
di cui la fama ancor nel mondo dura, 
e durerà quanto ’l mondo lontana,                                 60

l’amico mio, e non de la ventura, 
ne la diserta piaggia è impedito 
sì nel cammin, che volt’è per paura;                              63

e temo che non sia già sì smarrito, 
ch’io mi sia tardi al soccorso levata, 
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.                             66

Or movi, e con la tua parola ornata 
e con ciò c’ha mestieri al suo campare 
l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata.                                      69

I’ son Beatrice che ti faccio andare; 
vegno del loco ove tornar disio; 
amor mi mosse, che mi fa parlare.                                72

Quando sarò dinanzi al segnor mio, 
di te mi loderò sovente a lui". 
Tacette allora, e poi comincia’ io:                                   75

"O donna di virtù, sola per cui 
l’umana spezie eccede ogne contento 
di quel ciel c’ha minor li cerchi sui,                                78

tanto m’aggrada il tuo comandamento, 
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;                
più non t’è uo' ch'aprirmi il tuo talento.                           81

Ma dimmi la cagion che non ti guardi 
de lo scender qua giuso in questo centro 
de l’ampio loco ove tornar tu ardi".                                 84

"Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, 
dirotti brievemente", mi rispuose, 
"perch’io non temo di venir qua entro.                           87

Temer si dee di sole quelle cose 
c’hanno potenza di fare altrui male; 
de l’altre no, ché non son paurose.                               90

I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, 
che la vostra miseria non mi tange, 
né fiamma d’esto incendio non m’assale.                  93

Donna è gentil nel ciel che si compiange 
di questo ’mpedimento ov’io ti mando, 
sì che duro giudicio là sù frange.                                   96

Questa chiese Lucia in suo dimando 
e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele 
di te, e io a te lo raccomando -.                                       99

Lucia, nimica di ciascun crudele, 
si mosse, e venne al loco dov’i’ era, 
che mi sedea con l’antica Rachele.                             102

Disse: - Beatrice, loda di Dio vera, 
ché‚ non soccorri quei che t’amò tanto, 
ch’uscì per te de la volgare schiera?                            105

non odi tu la pieta del suo pianto? 
non vedi tu la morte che ’l combatte 
su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? -                     108

Al mondo non fur mai persone ratte 
a far lor pro o a fuggir lor danno, 
com’io, dopo cotai parole fatte,                                      111

venni qua giù del mio beato scanno, 
fidandomi del tuo parlare onesto, 
ch’onora te e quei ch’udito l’hanno".                             114

Poscia che m’ebbe ragionato questo, 
li occhi lucenti lagrimando volse; 
per che mi fece del venir più presto;                             117

e venni a te così com’ella volse; 
d’inanzi a quella fiera ti levai 
che del bel monte il corto andar ti tolse.                      120

Dunque: che è? perché, perché restai? 
perché tanta viltà nel core allette? 
perché ardire e franchezza non hai?                            123

poscia che tai tre donne benedette 
curan di te ne la corte del cielo, 
e ’l mio parlar tanto ben ti promette?».                        126

Quali fioretti dal notturno gelo 
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca 
si drizzan tutti aperti in loro stelo,                                  129

tal mi fec’io di mia virtude stanca, 
e tanto buono ardire al cor mi corse, 
ch’i’ cominciai come persona franca:                          132 

«Oh pietosa colei che mi soccorse! 
e te cortese ch’ubidisti tosto 
a le vere parole che ti porse!                                          135

Tu m’hai con disiderio il cor disposto 
sì al venir con le parole tue, 
ch’i’ son tornato nel primo proposto.                            138

Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: 
tu duca, tu segnore, e tu maestro». 
Così li dissi; e poi che mosso fue, 

intrai per lo cammino alto e silvestro.                           142


Parafrasi

Il giorno era quasi finito, e l'oscurità toglieva gli animali che sono in terra dalle loro fatiche;



e io ero il solo che mi prepararavo ad affrontare un cammino angoscioso e terribile, che la mia mente infallibile descriverà.

O muse, o alto ingegno poetico, aiutatemi; o mente, che annotasti quello che hai visto, qui dovrai dare dimostrazione della tua nobiltà.

Io cominciai a dire: «Poeta che mi guidi, valuta se la mia virtù è sufficiente, prima di condurmi in questo arduo viaggio.

Tu dici che il padre di Silvio (Enea), ancora in vita, andò nell'Aldilà in carne e ossa, con tutto il corpo.


Perciò, se il nemico di ogni male (Dio) fu cortese verso di lui, l'uomo e i suoi meriti non sembrano indegni a un uomo dotato di intelletto, se si pensa all'alto effetto che doveva essere prodotto da lui;

 

infatti egli fu scelto nell'Empireo come fondatore della nobile Roma e del suo impero:

 

e Roma e il suo impero, a dire la verità, furono stabiliti come la santa sede dove risiede il successore del primo papa (Pietro).

Grazie a questo viaggio che tu narri, Enea sentì cose che lo portarono poi alla vittoria e produssero il manto papale (la nascita della Chiesa).

Vi andò poi (nell'Aldilà) ilo strumento della scelta (san Paolo), per rendere salda quella fede che è prinicipio alla via della salvezza.

Ma io perché dovrei andarci? chi lo concede? Io non sono Enea, né san Paolo; né io né nessun altro mi ritiene all'altezza di questo compito.

Perciò, se accetto di seguirti, temo che il mio viaggio sia una follia. Sei saggio, comprendi meglio di come io possa spiegare».

E come colui che non vuole più ciò che voleva, e cambia idea a causa di nuovi pensieri, cosicché recede totalmente dai suoi propositi,


così divenni io in quei luoghi oscuri, perché pensandoci sopra posi fine all'impresa che fu così rapida all'inizio.


L'ombra di quel nobile uomo rispose così: «Se io ho capito bene le tue parole, la tua anima è vittima di viltà,



la quale molte volte opprime l'uomo e lo fa desistere da un'imprsa onorevole, proprio come una falsa immagine fa imbizzarrire una bestia quando si adombra.

Affinché tu ti liberi da questi timori, ti dirò perché sono venuto qui e quello che sentii nel primo momento che provai per te dolore.

Io ero tra le anime sospese del Limbo, e mi chiamò una donna tanto beata e tanto bella che le chiesi di comandarmi.


I suoi occhi erano più lucenti di una stella e lei iniziò a parlarmi con tono dolce e soave, con una voce che sembrava il linguaggio di un angelo:

"O nobile anima mantovana, di cui la fama ancora perdura nel mondo e durerà tanto quanto il mondo,


 

 

 

colui che mi amò in modo disinteressato (Dante) sul pendio deserto di un colle è impedito a tal punto che si è voltato indietro per paura;

e temo che sia già smarrito a tal punto che io mi sono mossa troppo tardi per soccorrerlo, per quello che ho sentito su di lui in cielo.

Ora muoviti, e con la tua parola elegante, e con ciò che è necessario per la sua salvezza, aiutalo in modo che io ne sia consolata.

Io che ti faccio andare sono Beatrice; vengo da dove desidero tornare; l'amore mi ha fatto venire qui a parlarti.


Quando sarò davanti a Dio, spesso loderò il tuo nome". Allora tacque e io risposi: 


"O donna virtuosa, l'unica per cui la specie umana si eleva al di sopra di tutto ciò che si trova sotto il cielo della Luna,


la tua richiesta mi trova così d'accordo che se anche avessi giù ubbidito sarebbe tardi; non devi fare altro che dirmi quello che vuoi.


Ma dimmi il motivo per cui non hai timore nello scendere quaggiù, all'Inferno, dal luogo più ampio dove desideri tornare".

Lei mi rispose: "Poiché vuoi maggiori dettagli, ti spiegherò in breve il motivo per cui non temo di venire qua dentro.

Si devono temere soltanto quelle cose che hanno il potere di fare male agli altri; le altre no, poiché non sono spaventose.

Io sono resa da Dio, bontà sua, tale che la vostra miseria non mi tocca e nessuna fiamma dell'Inferno può danneggiarmi.

Nel cielo c'è una donna nobile (Maria) che si duole di questo impedimento per il quale chiedo il tuo aiuto, così che infrange il duro giudizio divino.

Costei chiese di parlare a Lucia e le disse: - Ora il tuo fedele ha bisogno di te e io a te lo raccomando -.


Lucia, nemica di ogni uomo crudele, si mosse e venne là dove io ero, seduta accanto all'antica Rachele.


Mi disse: - Beatrice, autentica lode di Dio, perché non soccorri colui che ti amò al punto da elevarsi al di sopra della schiera volgare?

Non senti l'angoscia del suo pianto? non vedi la morte che combatte sul gorgo tempestoso del peccato? -


Al mondo non ci furono mai persone tanto rapide a perseguire il loro vantaggio o a fuggire il loro danno, quanto io, dopo aver udito quelle parole,


venni quaggiù dal mio scanno celeste, affidandomi alle tue parole nobili che onorano te e quelli che le hanno udite".

Dopo che mi ebbe detto questo, girò gli occhi che brillavano per il pianto, il che mi indusse a venire più presto;

e venni da te come lei volle; ti soccorsi da quella belva (la lupa) che ti impedì una facile ascesa al colle.


Allora che c'è? perché, perché resti qui? perché coltivi in cuore tanta viltà? perché non hai coraggio e determinazione,


visto che queste tre donne benedette si preoccupano per te nella corte celeste e le mie parole ti promettono ogni bene?»

Come dei fiorellini chiusi e rivolti in basso dal gelo notturno si drizzano tutti aperti sul loro stelo, dopo che il sole li ha illuminati,


così feci io con la mia stanca virtù, e al cuore mi venne tanto coraggio che iniziai a dire, come persona rinfrancata:

«Oh donna pietosa che mi soccorse, e tu cortese che obbedisti subito alle parole autentiche che ti disse!


Tu, con le tue parole, mi hai disposto il cuore al desiderio di venire, al punto che che sono tornato al primo proposito.

Adesso va, poiché entrambi vogliamo la stessa cosa: tu sei la mia guida, il mio signore, il mio maestro». Così gli dissi, e dopo che si fu messo in cammino


intrapresi il percorso arduo e selvaggio.


Inferno, Canto II

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D.G. Rossetti, Beata Beatrix

"...Ma io perché venirvi? o chi 'l concede?
Io non Enea, io non Paulo sono;
me degno a ciò, né io né altri 'l crede..."



"...Io era tra color che son sospesi
e donna mi chiamò, beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi..."


Oh pietosa colei che mi soccorse!
E tu cortese, ch'ubidisti tosto
alle vere parole che ti porse!


Argomento del Canto

Dubbi di Dante sul viaggio. Virgilio gli spiega che Beatrice gli ha fatto visita nel Limbo ed è stata a sua volta inviata dalla Vergine e da santa Lucia. Dante si riconforta.
È la sera di venerdì 8 aprile (o 25 marzo) del 1300.

Proemio della Cantica (1-9)

Sta calando la notte e Dante, che segue Virgilio lungo la strada che li condurrà alla porta dell’Inferno, è il solo che si prepara a un percorso irto di difficoltà mentre tutte le altre creature riposano. Il poeta invoca l’assistenza delle Muse, perché lo aiutino a ricordare ciò che ha visto nel corso del suo viaggio.

Dubbi di Dante (10-42)

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A. Rublev, icona di San Paolo

Dante si rivolge a Virgilio e gli esprime tutti i suoi dubbi sull’impresa che sta per affrontare. Ricorda che lo stesso Virgilio cantò di Enea, il quale fu protagonista di una discesa agli inferi quando era ancora vivo: egli però avrebbe contribuito alla fondazione di Roma, centro dell’impero romano e poi sede del Papato, quindi non è sorprendente che Dio gli abbia concesso un tale privilegio. Anche San Paolocompì un viaggio nel mondo ultraterreno, al fine di corroborare la fede nella religione cristiana di cui era zelante apostolo. Ma Dante non è Enea, né San Paolo, quindi chi gli concede di intraprendere un viaggio simile? Egli ha dunque cambiato idea e vorrebbe recedere dal proposito che ha assunto con tanta sicurezza alla fine del canto precedente.


Il racconto di Virgilio: l'incontro con Beatrice (43-74)

Virgilio risponde accusando Dante di viltà, rinfacciandogli di aver paura proprio come una bestia che si spaventa vedendo la propria ombra. Per convincerlo della necessità di compiere il viaggio, gli spiega chi lo ha inviato in suo soccorso: egli si trovava nel Limbo, tra le anime sospese, quando comparve a lui l’anima di una donna bellissima, dagli occhi lucenti come una stella e che parlava con voce soave, al punto che lui le chiese di comandargli cosa volesse. La donna si era rivolta a lui come al più grande poeta mai vissuto e gli aveva chiesto di soccorrere Dante, l’uomo che lei aveva amato in modo disinteressato: Dante era alle prese con le tre fiere e stava per tornare indietro dalla paura, quindi l’aiuto di Virgilio era quanto mai necessario. La donna si era presentata come Beatrice e aveva detto di provenire dal Paradiso.

Il racconto di Beatrice: le tre donne benedette (75-120)

Virgilio racconta che aveva chiesto a Beatrice perché lei non temesse di scendere nell’Inferno, in mezzo alle anime dannate. La donna aveva risposto che, essendo beata, non doveva temere la miseria dei dannati perché non in grado di nuocerle. In Cielo la Vergine si era commossa all’idea che Dante corresse pericoli nella selva, quindi aveva incaricato santa Lucia di intervenire in suo favore. Lucia si era rivolta a Beatrice, che sedeva accanto allo scanno di Rachele, e le aveva spiegato che Dante, l’uomo da lei amato, lottava con la morte trascinato in basso dal peccato. Beatrice era stata allora rapida nel lasciare il Paradiso e nel venire a chiedere aiuto a Virgilio: aveva terminato il suo racconto piangendo, cosa che aveva spinto il poeta latino a correre nella selva per portare il suo soccorso a Dante.

L'esortazione di Virgilio (121-142)

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G. Doré, Virgilio e Beatrice

Terminato il suo racconto, Virgilio si rivolge nuovamente a Dante per spronarlo a vincere i suoi dubbi. Fa leva sul fatto che tre donne benedette (Maria, Lucia e Beatrice stessa) si curano di lui in Cielo, quindi deve superare la sua paura e riacquistare forza e coraggio. Le parole di Virgilio hanno il loro effetto: Dante si rinvigorisce proprio come dei fiorellini che il gelo notturno ha chiuso e che sono riaperti dal sole del mattino. Il poeta si rivolge di nuovo a Virgilio ringraziandolo per aver risposto sollecitamente al richiamo di Beatrice, e felicitandosi del fatto che la donna si sia presa a cuore la sua vicenda terrena. Ora Dante è tornato al proposito iniziale: prega Virgilio di continuare a guidarlo, quindi lo segue con rinnovato slancio.


Interpretazione complessiva

Il Canto II è in realtà il primo della Cantica ed è per questo che si apre con il proemio, ovvero l'enunciazione del tema e l'invocazione alle Muse che dovranno assistere Dante nel racconto del viaggio compiuto nell'Oltretomba: rispetto al proemio delle altre due Cantiche, più ampie e con l'appello a Calliope (Purg.I, 1-12) e ad Apollo (Par., I, 1-36), qui Dante si limita ad invocare in modo generico l'assistenza delle Muse, da intendersi come personificazione di Dio al pari di Apollo, e a manifestare l'intenzione di descrivere in modo veritiero la sostanza delle cose viste durante il viaggio. Il tramonto e il calare delle tenebre fanno nascere nel poeta nuovi dubbi, che non esita a manifestare alla sua guida Virgilio.
Dante non si sente all'altezza della missione di cui è investito e cita gli esempi di Enea e san Paolo, entrambi protagonisti di un viaggio nell'Aldilà (Enea era sceso agli Inferi per parlare col padre 
Anchise, come spiegato da Virgilio stesso nel libro VI dell'Eneide, mentre Paolo era stato rapito nel III Cielo, come narrato in II Cor., XII, 2-4). Sono due figure centrali nella tradizione classico-cristiana, in quanto Enea è legato alla successiva fondazione di Roma, futuro centro dell'Impero romano e destinata a diventatare sede del Papato, mentre san Paolo è l'Apostolo che più di ogni altro contribuì a diffondere il Cristianesimo nel mondo e a fissarne i primi fondamenti teologici, protagonista tra l'altro di un parallelismo con la figura di Dante che diverrà via via più evidente specie verso la conclusione della III Cantica (cfr. in particolare i CantiXVXXVI e XXVIII del Paradiso). Dante è stato in realtà scelto dalla grazia divina per l'altissimo compito di andare nell'Oltretomba da vivo e riferire, una volta tornato sulla Terra, tutto quello che ha visto (come l'avo Cacciaguida gli spiegherà nel Canto XVII del Paradiso), in virtù di un privilegio che deriva dai suoi meriti intellettuali e poetici, ma in questo momento il confronto coi due modelli precedenti lo riempie di timore e lo induce a recedere dal proposito che alla fine del Canto precedente aveva assunto con eccessiva sicurezza. La paura di Dante è che il viaggio nell'Aldilà sia folle, non autorizzato dal volere divino e foriero quindi di pericoli sul piano della salvezza, nel che è forse da ravvisare un riferimento al cosiddetto «traviamento» del poeta che lo ha portato a smarrirsi nella selva oscura (si veda in proposito la Guida al Canto XXVI dell'Inferno e al XXX del Purgatorio).
Virgilio lo accusa subito di viltà e lo paragona a una bestia che si adombra per dei pericoli inconsistenti, in quanto il suo viaggio è voluto da Dio e quindi il poeta non ha nulla da temere: per convincerlo di questo il poeta latino inizia un lungo 
flashback, in cui rievoca il suo incontro nel Limbo con Beatrice che è chiaramente da interpretare come allegoria della grazia e della teologia rivelata, senza il cui ausilio è impossibile per l'uomo raggiungere la salvezza eterna (infatti Virgilio, allegoria della ragione naturale dei filosofi antichi, condurrà Dante solo fino alla vetta del Paradiso Terrestre, per scomparire al momento dell'arrivo di Beatrice, come già anticipato nel Canto I). La donna è descritta coi tipici attributi della donna-angelo dello Stilnovo e Virgilio riferisce il discorso con cui lei gli chiede di soccorrere Dante, una sorta disuasoria classica con tanto di captatio benevolentiae: ella lo elogia per i suoi meriti di poeta e la fama destinata a durare fino alla fine dei tempi, quindi gli descrive i pericoli corsi da Dante nella selva dove è impedito nel suo cammino dalle tre fiere, che come sappiamo simboleggiano le tre disposizioni peccaminose che ostacolano l'uomo nel suo percorso di redenzione. Si presenta come Beatrice, venuta espressamente dal Cielo per invocare l'aiuto in favore del suo amico Dante, e sollecita l'intervento di Virgilio con la sua parola ornata, con l'aiuto quindi della sua poesia e delle sue capacità retoriche, promettendo infine di lodare il poeta antico presso Dio quando sarà tornata al Suo cospetto. L'episodio ha un importante significato allegorico, in quanto chiarisce che il viaggio di Dante ha, sì, come guida la ragione naturale, ma essa è subordinata alla grazia santificante che è raffigurata da Beatrice e senza la quale ogni percorso di purificazione morale è destinato a fallire; non a caso Virgilio saluta Beatrice come la donna grazie alla quale solamente la specie umana può sollevarsi al di sopra del mondo terreno e sublunare, quindi come la virtù  in grado si condurre l'uomo alla salvezza eterna (in quanto teologia rivelata, infatti, Beatrice condurrà Dante al possesso delle tre virtù teologali, ignote a Virgilio in quanto pagano e relegato nel Limbo).
La stessa Beatrice opera un 
flashback narrando il fatto che santa Lucia, a sua volta inviata dalla Vergine Maria, l'aveva sollecitata a salvare Dante (alcuni commentatori hanno visto un senso allegorico anche in queste due figure, che indicherebbero rispettivamente la grazia illuminante e la grazia preveniente): Lucia era comunque una santa cui Dante doveva essere devoto in quanto protettrice della vista, poiché il poeta aveva sofferto di una grave malattia agli occhi come lui stesso racconta nel Convivio (III, 9, 15-16). In ogni caso nel racconto di Beatrice appare chiaro che il viaggio di Dante è voluto da Dio e la «trafila» delle tre donne benedette rimarca il fatto che il suo percorso è tutt'altro chefolle, dal momento che il suo destino è oggetto della più ansiosa sollecitudine da parte nientemeno che della Vergine, nei confronti della quale Dante manifesta un particolare culto (cfr. Par., XXIII, 88-90 e XXXIII, 1-39). L'amore di Beatrice per il poeta l'ha spinta a lasciare subito il suo beato scanno e a scendere addirittura nell'Inferno, benché ella spieghi a Virgilio che questo luogo non può farle paura in quanto incapace di arrecarle danno (è un riferimento alla paura inconsistente di Dante, i cui timori non hanno ragion d'essere), e la donna pone fine al suo accorato discorso rivolgendo al poeta latino gli occhi velati di lacrime, il che l'ha indotto a giungere quanto prima in aiuto a Dante. Il richiamo di Virgilio e, soprattutto, il ricordo di Beatrice hanno su Dante un effetto immediato, così che il poeta prega il suo maestro di proseguire immediatamente il viaggio, simile a un fiore che il freddo notturno ha chiuso e che si riapre alle prime luci del mattino (la similitudine è rovesciata rispetto all'ora del giorno, visto che sulla Terra sta calando il buio): questo avverrà anche in altre occasioni, allorché Dante sarà preso da dubbi o verrà scoraggiato dalle difficoltà del cammino, specialmente durante la discesa all'Inferno ma anche (come vedremo) in occasione della faticosa ascesa del Purgatorio, quando Virgilio in più circostanze rimanderà il discepolo alle spiegazioni più precise e puntuali di Beatrice che lo attende sulla vetta del monte.

Note e passi controversi

I vv. 1-3 riecheggiano alcuni passi virgiliani, quali ad esempio Aen., III, 147 (Nox erat, et terris animalia somnus habebat), ma anche IV, 522-528, VIII, 26-27, ecc.
Il v. 13 indica Enea come padre di Silvio, il figlio avuto da Lavinia. 
L'avversario d'ogne male (v. 16) è naturalmente Dio.
Nel v. 18 
e 'l chi e 'l quale sono soggetti di pare e vuol dire che Enea, come persona e come meriti, non pare indegno di aver ricevuto il privilegio di scendere agli Inferi. 
Il 
maggior Piero (v. 24) è san Pietro, primo papa, e il suo successor  è il pontefice che ha sede a Roma.
Lo 
vas d'elezione (v. 28) è san Paolo, così definito in Act. Ap., IX, 15 (l'espressione significa letteralmente «strumento della scelta»). Il viaggio in Cielo cui si riferisce Dante è narrato da Paolo stesso in II Cor., XII, 2-4, dove si dice che il santo fu rapito in estasi e portato al III Cielo.
Al v. 35 
temo che... non  significa «temo che» ed è costruzione alla latina (timeo ne; cfr. v. 64).
Al v. 44 
ombra, sostantivo, è in rima equivoca con ombra, verbo (v. 48).
Alcuni commentatori pensano che al v. 55 Virgilio voglia dire che gli occhi di Beatrice splendono più della «stella diana», cioè di Venere, ma forse è un riferimento generico. Per l'espressione, cfr. 
Cavalcanti, XLVI, vv. 1-2: In un boschetto trova' pasturella / più che la stella - bella, al mi' parere.
Nel v. 60 
lontana è certamente aggettivo, non voce del verbo lontanare (alcuni mss. leggono moto al posto di mondo). Beatrice vuol dire che la fama di Virgilio è destinata a durare quanto durerà il mondo.
Il v. 61 (
l'amico mio, e non de la ventura) vuole dire colui che mi amò in modo disinteressato, non quindi per motivi materiali legati alla ventura(fortuna).
Il 
ciel c'ha minor li cerchi sui (v. 78) è quello della Luna, il più basso e vicino alla Terra, al di sotto del quale vi è il mondo materiale: Virgilio intende dire che Beatrice, allegoria della grazia, è la sola in grado di elevare l'uomo al di sopra di esso.
Alcuni mss. leggono il v. 81 
più non t'è uopo aprirmi il tuo talento («non hai più bisogno di dirmi quello che vuoi», in quanto Beatrice ha effettivamente espresso la sua richiesta a Virgilio), ma è lezione facile e perciò trascurata.
I vv. 88-90 si rifanno a un principio aristotelico, noto a Dante attraverso la filosofia di san 
Tommaso d'Aquino, e il riferimento è anche alle paure espresse da Dante all'inizio e altrettanto inconsistenti.
Il v. 96 si riferisce a Maria e indica la sua propensione a intercedere presso Dio in favore dei fedeli.
Beatrice riprenderà il suo seggio nella rosa dei beati accanto a Rachele (v. 102) in 
Par., XXXI, 52 ss.; cfr. anche XXXII, 7-9.
Il v. 108 (
su la fiumana ove 'l mar non ha vanto) ha dato filo da torcere agli interpreti: lett. vuole dire sul fiume, nel punto in cui il mare non ha potere, quindi sulla foce. Allegoricamente si può interpretare come il fiume del peccato, che trascina nella sua corrente che è più rapinosa nei pressi della foce, quindi santa Lucia vuol dire che Dante è nel gorgo tempestoso del peccato e rischia la dannazione. Certamente il fiume non è l'Arno, né l'Acheronte.
Al v. 116 
volse (da «volgere») è in rima equivoca con volse al v. 118 (da «volere»).
La 
fiera  citata da Virgilio al v. 119 è la lupa (Canto I, 49 ss.).
Ai vv. 121-123 Virgilio rivolge a Dante un pressante appello, usando anche l'anafora di 
Perché?