Storia Romana

 

La Monarchia

Secondo la leggenda, Roma fu fondata da Romolo nel 753 a. C. In realtà la città nacque dalla lenta fusione di alcuni villaggi, che si unirono e riconobbero l’autorità di un unico re. I patrizi e i plebei (la plebe, il popolo) erano le due classi sociali in cui era divisa la società romana. I patrizi occupavano ruoli di potere grazie alla loro appartenenza a famiglie antiche, ricche e nobili e al fatto che si credevano in grado di interpretare la volontà degli dei. I componenti più anziani di ogni famiglia patrizia costituivano il senato, che assisteva il re nel governo. I plebei spesso divenivano clienti dei patrizi, si ponevano cioè alle dipendenze di un nobile offrendogli servizi e obbedienza in cambio di protezione e assistenza economica. Al di sotto dei plebei erano gli schiavi, coloro che per vari motivi erano privi della loro libertà personale (es. i prigionieri di guerra). Gli schiavi a cui i padroni ridavano la libertà venivano detti liberti.

La leggenda dice che i re di Roma, nei quasi 250 anni della monarchia, furono solo sette:

RomoloNuma PompilioTullo OstilioAnco MarzioTarquinio PriscoServio Tullio,

Tarquinio il Superbo (gli ultimi tre di stirpe etrusca). Gli storici sono convinti invece che i re furono in realtà più di sette, anche se di alcuni di loro si è perso il ricordo.

 

La Repubblica

Il 509 fu una data di fondamentale importanza nella storia di Roma; in quell’anno infatti i Romani cacciarono l’ultimo re etrusco, Tarquinio il Superbo, abolirono la monarchia e fondarono la Repubblica. Per altri cinque secoli questa fu la forma di governo dello Stato Romano. Inizialmente la Repubblica fu governata da due consoli, scelti fra i patrizi e i plebei. Ben presto però i patrizi allontanarono i plebei dal consolato, imponendo un governo aristocratico. I plebei ottennero una prima vittoria nel 450, quando Roma ebbe le sue prime leggi scritte, le Dodici Tavole, il cui contenuto, però, rivelava ancora il predominio dei patrizi.

L’influenza della plebe sulla vita dello Stato era minima, a causa della sua esclusione dalle magistrature (cioè dalle cariche pubbliche: consolato, pretura, edilità, questura, censura, dittatura) e dalla maggioranza nelle assemblee più importanti (senato, comizi centuriati, comizi tributi).

 

Vediamo meglio queste istituzioni:

consoli erano i magistrati supremi; duravano in carica un anno e dovevano controllarsi a vicenda; essi comandavano l’esercito, imponevano tasse speciali per esigenze di guerra, potevano convocare l’assemblea dei cittadini, ecc.; avevano quindi potere militare e potere esecutivo. I pretori esercitavano il potere giudiziario. Gli edili avevano l’incarico di sorvegliare le strade, gli edifici, i luoghi pubblici, le cerimonie religiose. I questori amministravano il tesoro pubblico. I censori effettuavano il censimento dei cittadini (per individuare le persone tenute al tributo e al servizio militare) e controllavano il comportamento dei cittadini.

Il dittatore, nominato dai consoli in caso di particolare pericolo, restava in carica al massimo sei mesi, ma aveva pieni poteri. A queste cariche si aggiungeva quella di pontefice massimo, per la guida delle cerimonie religiose e del culto.

Il senato era un’assemblea autorevole e potente, formata da coloro che avevano ricoperto una

magistratura. Non aveva il potere di dichiarare la guerra, ma decideva le operazioni militari, organizzava i territori conquistati e la distribuzione delle terre, accettava o proibiva il culto di nuove divinità, autorizzava la spesa pubblica, riceveva gli ambasciatori stranieri e conduceva le trattative diplomatiche. La carica di senatore era a vita. I comizi centuriati erano l’assemblea formata dai cittadini (patrizi e plebei) in grado di portare le armi. I proletari, cioè coloro che non possedevano niente all’infuori della loro prole, non erano tenuti al servizio militare. I comizi centuriati eleggevano i consoli, i pretori, i censori, votava le leggi, dichiarava la guerra. Nei comizi centuriati la maggioranza era sempre dei più ricchi.

comizi tributi erano l’assemblea della plebe; votavano le leggi meno importanti ed eleggevano i magistrati minori. Nei comizi tributi però avevano sempre la maggioranza i proprietari terrieri (cioè i plebei più ricchi). 

 

Nel 367 i plebei furono riammessi al consolato, ma solo i plebei ricchi ebbero questa possibilità.

Le conquiste caratterizzarono la politica estera della Roma repubblicana. Essa estese il suo dominio, prima sui territori dei popoli italici confinanti, come i Latini, gli Equi, i Volsci e i Sabini, poi sulle città dell’Italia meridionale. Ai territori conquistati Roma diede un’organizzazione molto diversificata. Si distinguevano gli alleati latini, gli alleati italici e i municipi. Gli alleati avevano il dovere di inviare a Roma soldati, navi e tributi. Agli alleati latini, tuttavia, era riconosciuto il diritto di commercio e di matrimonio con i cittadini romani. I municipi erano comunità fondate in varie parti della penisola, che avevano maggiori o minori diritti. Questa organizzazione, che comportava diritti e doveri diversi allo scopo di integrare a vari livelli i popoli conquistati, adattandosi a diverse situazioni, dava a Roma la forza di resistere a difficili prove.

 

Le Guerre puniche

Quando Roma estese le sue conquiste fino allo stretto di Messina diventò inevitabile lo scontro con Cartagine, la potente città fenicia dell’Africa settentrionale che aveva importanti scali commerciali in Sicilia. I Romani, nel 264 a. C., approfittando di un incidente, sbarcarono in Sicilia; scoppiò così la Prima guerra punica (Punicus in latino vuol dire Cartaginese). Grazie a tre vittorie navali i Romani sconfissero i Cartaginesi e occuparono la Sicilia prima e poi la Sardegna e la Corsica. Dopo vent’anni, tuttavia, Cartagine riprese la lotta. Questa volta le battaglie non si svolsero sul mare.

Protagonista della Seconda guerra punica fu il cartaginese Annibale, che, dopo aver attraversato la Spagna, varcò le Alpi e portò la guerra nel cuore dell’Italia. Roma subì una serie di sconfitte che la portarono sull’orlo della disfatta. Resse però l’organizzazione che essa aveva dato all’Italia: sebbene alcuni popoli fossero passati dalla parte di Annibale, molti alleati rimasero con Roma e la aiutarono a battere i Cartaginesi. Publio Cornelio Scipione (che sarà poi detto l’Africano) decise addirittura di portare la guerra sotto le mura di Cartagine, in Africa.

Annibale lasciò l’Italia e corse in aiuto della patria minacciata, ma nella battaglia di Zama fu sconfitto pesantemente.

Cartagine si arrese e dovette cedere la Spagna, consegnare la flotta e pagare un forte tributo, oltre che impegnarsi a non fare nessuna guerra senza il permesso dei Romani.

 

Le ragioni della sconfitta di Cartagine furono da un lato la superiorità degli eserciti romani

(composti da cittadini) rispetto a quelli cartaginesi (formati soprattutto da mercenari, cioè da soldati che combattevano a pagamento), dall’altro la fedeltà di molti alleati di Roma, grazie all’intelligente ordinamento politico dato alla penisola.

I territori conquistati durante le guerre puniche non furono dichiarati “alleati” dei Romani, ma resi province. I loro abitanti divennero sudditi di Roma, furono costretti a versarle tributi e vennero governati da un magistrato romano.

 

Sconfitta Cartagine, nessuna potenza sembrava più in grado di fermare l’espansione romana. Alla prima serie di province si aggiunsero la Macedonia, la Siria e la Grecia.

Restava il problema di Cartagine, che stava rifiorendo dopo le sconfitte e ciò preoccupava i Romani. Nel 146 la città africana fu quindi rasa al suolo e il suo territorio divenne provincia romana. Le conseguenze delle conquiste di Roma furono numerose.

 

Le guerre avevano fruttato alla città molte ricchezze, derivate dai saccheggi, dallo sfruttamento delle province e dall’apertura di nuovi mercati. In generale erano migliorate le condizioni dei cittadini romani, ma soprattutto le categorie dei cavalieri e dei senatori avevano aumentato il loro patrimonio. La plebe era rimasta la classe sociale più svantaggiata. A questa situazione di disuguaglianza cercarono di porre rimedio i fratelli Tiberio e Caio Gracco, che proposero leggi a favore dei contadini; le loro iniziative però non ebbero successo perché i due fratelli vennero fatti assassinare dall’aristocrazia romana.

 

La crisi della repubblica

A Roma si erano ormai delineati due opposti partiti: l’aristocratico, appoggiato dai senatori, e il democratico, sostenuto dai plebei. Il I secolo a. C è il secolo della crisi delle istituzioni repubblicane.

 

Queste istituzioni cedettero dopo le conquiste mediterranee sotto il peso di tre tipi di problemi: problemi sociali, problemi con gli alleati italici, problemi con i sudditi delle province. Un altro elemento si aggiunse ad aggravare la situazione: la riforma dell’esercito voluta da Mario, capo dei democratici. Per togliere dalla miseria la plebe romana Mario cambiò la composizione delle legioni, che per la prima volta furono composte anche dai cittadini più poveri. Questi soldati, però, ben presto cominciarono a vedere la guerra unicamente come un mezzo per arricchirsi e a essere legati al loro generale e alle occasioni di bottino che offriva, piuttosto che alla patria. Questo fece aumentare di molto il potere dei generali, a scapito del senato romano. Mario fu il primo ad approfittarne, ponendosi alla guida dell’esercito in vittoriose spedizioni. A Mario, però, si oppose Silla, il generale del partito aristocratico che aveva stroncato la rivolta degli alleati italici. Silla, per limitare il potere dei militari, scatenò una guerra senza quartiere contro i democratici e si fece nominare dittatore a tempo indeterminato.

 

 

Il primo triumvirato

Dopo il ritiro dall’attività politica di Silla la situazione si aggravò ulteriormente, lo scontro tra il senato e i generali continuò, finché questi, forti delle loro conquiste, riuscirono a

imporre il loro potere con l’istituzione del triumvirato, un accordo privato tra cittadini per governare lo stato. Il primo triumvirato fu infatti formato da tre generali nel 60 a. C.: Pompeo, Cesare Crasso. Tra Pompeo e Cesare nacque una forte rivalità. Cesare in Gallia ottenne una serie di clamorose vittorie, conquistando terre fino alle coste atlantiche e, oltre la Manica, fino all’Inghilterra. Pompeo e il senato decisero di richiamare Cesare a Roma, con l’intenzione di porre fine alla sua carriera politica, Cesare se ne rese conto e tornò sì in Italia, ma con l’esercito in armi.

Nonostante l’ingiunzione di lasciare le armi e di tornare a Roma come semplice cittadino, Cesare guidò l’esercito fino a Roma, costringendo Pompeo a fuggire in Grecia. Per tre anni Roma fu sconvolta dalla guerra civile tra pompeiani e cesariani. Intanto l’esercito di Pompeo venne sconfitto in Grecia e Pompeo stesso fu fatto uccidere a tradimento. Abbattuta la resistenza degli ultimi pompeiani, Cesare divenne padrone assoluto di Roma.

 

Nominato console per cinque anni, dittatore a tempo indeterminato e pontefice massimo, Cesare nella sua fulminante carriera accumulò in poco tempo più cariche di quante mai ne avesse avute qualunque uomo politico romano. I senatori, temendo la trasformazione della dittatura in monarchia assoluta, ordirono un complotto contro Cesare che, nel 44 a. C., venne ucciso in senato da un gruppo di congiurati capeggiati da Bruto, suo figlio adottivo, e dal pretore Cassio

 

 

Il secondo triumvirato e la fine della repubblica

Ancora una volta si ricorse all’istituzione di un altro triumvirato - il secondo - nel 43 a. C., formato da Antonio, Ottaviano (figlio adottivo di Cesare) e Lepido. Ben presto scomparve dalla scena Lepido e rimasero Antonio e Ottaviano, divisi da una forte rivalità. Ad Azio nel 31 a. C. Ottaviano sconfisse la flotta di Antonio e della regina d’Egitto Cleopatra, che si uccisero. Ottaviano, che si fece chiamare anche princeps e Cesare Augusto, accentrò tutti i poteri nelle sue mani (comandante supremo dell’esercito, primo tra i senatori, pontefice massimo): l’epoca della Repubblica era finita, iniziava l’epoca dell’Impero.

 

 

L’Impero

Augusto governò con prudenza, non abusò dei suoi poteri e non privò del tutto di autorità il Senato di Roma. Per amministrare un Impero tanto vasto, Augusto rafforzò i confini sul Reno e sul Danubio senza impegnarsi in guerre di conquista; cambiò l’organizzazione delle province e riformò l’esercito, concedendo ai veterani le terre promesse nelle colonie e una ricompensa in denaro alla fine del servizio militare. Per non aumentare i rischi di presa del potere da parte dei generali, spostò frequentemente gli ufficiali da un reparto all’altro, in modo che non assumessero grandi poteri personali presso i soldati.

Nell’epoca di Augusto si ebbe un periodo di pace e si raggiunse l’unificazione linguistica del Mediterraneo, con l’adozione di due sole lingue, il latino e il greco. In questo periodo Augusto valorizzò la cultura tradizionale romana, favorendo l’opera di poeti e letterati (come Virgilio, l’autore dell’Eneide).

Alla morte di Augusto, nel 14 d. C., l’Impero fu governato da dinastie di imperatori: la dinastia Giulio-Claudia (Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone) dal 14 al 69 d.C. e la dinastia Flavia (Vespasiano, Tito e Domiziano) dal 69 al 96 d. C. , che in alcuni casi collaborarono con il Senato, in altri cercarono invece di imporre una monarchia dispotica. In seguito, dal 96 al 180 d. C., l’Impero diventò adottivo attraverso il sistema dell’adozione da parte dell’imperatore del suo successore. Furono così scelti anche imperatori originari delle province. In questo periodo l’Impero raggiunse la sua massima estensione, con la conquista della Dacia da parte di Traiano (106 d. C.). Iniziarono le persecuzioni contro gli Ebrei e i Cristiani e l’Impero si avviò a trasformarsi in una monarchia assoluta di tipo orientale: con Adriano tutte le province divennero proprietà assoluta dell’Imperatore.

Nel secondo secolo d. C. Roma perse la sua funzione di città centrale dell’Impero a favore di nuovi centri in Egitto, Gallia e Asia Minore. L’economia italiana decadde per la scarsa resa del sistema di produzione schiavista e per la continua richiesta di articoli di lusso da parte di Roma, in un periodo in cui l’Italia non produceva più come prima (le guerre di conquista e la cattiva amministrazione dell’agricoltura avevano mandato in rovina la piccola proprietà privata, estendendo a dismisura i latifondi; nessuna riforma inoltre, dai tempi dei Gracchi, era riuscita a far rinascere la proprietà terriera).

Dopo la morte di Marco Aurelio, nel 180 d. C., una grave crisi politica ed economica investì l’Impero romano. In 100 anni si ebbero 27 imperatori, che poterono governare per brevissimi periodi e solo con l’appoggio dell’esercito. La necessità di difendere i confini da continui attacchi fece aumentare il numero dei soldati e quindi le spese dello Stato, per far fronte alle quali furono aumentate le tasse. Per mantenere l’esercito fu anche necessario requisire grandi quantità di prodotti agricoli e obbligare i coloni a prestare servizio militare. Migliaia di giovani contadini arruolati nell’esercito furono così sottratti al lavoro dei campi, che cominciarono a essere abbandonati anche per la mancanza di schiavi. Inoltre la popolazione diminuì, passando nell’Impero da 70 a 50 milioni di abitanti e quindi ci furono meno braccia a disposizione.

Lo Stato cercò di controllare direttamente tutte le attività economiche, cercando di trarne i maggiori vantaggi possibili, ma così facendo mandò in rovina molti piccoli proprietari terrieri e numerosi artigiani delle città. Le condizioni economiche dell’Impero diventarono disastrose; molti contadini, incapaci di pagare i debiti contratti, persero la libertà personale (divenendo servi della gleba, cioè servi della terra, perché legati alla terra in cui lavoravano, tanto che erano venduti dal padrone insieme ai campi).

Nel 285 divenne imperatore Diocleziano, che governò per 20 anni e fu quindi in grado di attuare alcune riforme per riorganizzare lo Stato. Decise l’istituzione della tetrarchia, una forma di comando collegiale (con quattro imperatori - due per l’Oriente e due per l’Occidente) per evitare le sanguinose lotte che si scatenavano quando si trattava di eleggere l’imperatore; raddoppiò il numero dei soldati, destinando truppe specializzate alla difesa dei confini; tassò le proprietà terriere e aumentò il numero delle province, nell’amministrazione delle quali il potere civile fu separato da quello militare. Diocleziano cercò anche di risolvere la grave crisi economica dell’Impero, ma il suo tentativo fallì.

 

 

L’Impero romano e il Cristianesimo

L’Impero romano si era dovuto confrontare ben presto con la religione cristiana, una religione che i Romani cercarono di contrastare con ogni mezzo. I Romani non accettavano l’idea cristiana che tutti gli uomini fossero uguali e fratelli e che la religione dovesse essere distinta dallo Stato. Infatti il cittadino romano era convinto che l’imperatore stesso dovesse essere considerato come una divinità. Quando al Cristianesimo cominciò a convertirsi un gran numero di cittadini romani, lo Stato si sentì minacciato. Esso temeva infatti che i Romani convertitisi al Cristianesimo non avrebbero più rispettato le sue leggi. Tra il 249 e il 304 gli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano ordinarono violente persecuzioni, che però rinsaldarono ancora di più le comunità cristiane.

 

Nel corso del terzo secolo il Cristianesimo cominciò a diffondersi anche tra i ricchi e divenne perciò una realtà con la quale lo Stato romano fu costretto a scendere a patti. Nel 313 l’imperatore Costantino riconobbe ai Cristiani la libertà di culto e da quel momento i valori e la cultura cristiani si intrecciarono sempre più con quelli romani.

La larga diffusione del Cristianesimo provocò però le prime difficoltà alla Chiesa: tra i Cristiani si ebbero divisioni e contrasti, che portarono alla nascita delle eresie (dottrine che non accettano le verità sostenute dalla Chiesa). Per risolvere questi contrasti con l’appoggio di Costantino si tenne un concilio a Nicea nel 325 (in quell’occasione vennero stabilite le verità della Chiesa cristiana, che vennero raccolte nella preghiera del Credo).

Nel 380 l’imperatore Teodosio con un editto proclamò il Cristianesimo religione ufficiale dello Stato romano e da quel momento cominciarono a essere perseguitati i pagani, quelli cioè che praticavano gli antichi riti romani. Alla morte di Teodosio, per suo volere, l’Impero venne diviso in due parti (Impero d’Occidente con capitale Roma e Impero d’Oriente con capitale Costantinopoli, l’antica Bisanzio) e affidato ai suoi due figli, Arcadio e Onorio.

 

Il crollo dell’Impero romano

Fin dall’inizio del terzo secolo d. C. i Romani avevano dovuto affrontare il problema dei rapporti con le popolazioni germaniche stanziate lungo i confini settentrionali e orientali dell’Impero. Queste popolazioni erano organizzate in clan e tribù di agricoltori e allevatori ed erano governate da un re guerriero dotato di ampi poteri. I Romani dapprima arruolarono alcuni Germani come soldati, poi impiegarono intere tribù a difesa dei confini.

A est, alle spalle dei Germani delle grandi pianure vivevano gli Unni, un popolo di guerrieri eccezionalmente abili nel cavalcare e nel tirare con l’arco. Sul finire del quarto secolo gli Unni cominciarono una grande migrazione verso ovest, coinvolgendo tutti i popoli germanici d’Occidente che, spinti dagli Unni, si riversarono nei territori dell’Impero romano.

Dalla disintegrazione dell’Impero romano d’Occidente (476 d. C, anno in cui il generale Odoacre capo degli Eruli, depose l’ultimo imperatore, Romolo Augustolo) nacquero i regni romano-germanici, controllati politicamente e militarmente dai Germani, ma con struttura amministrativa romana. Solo la parte orientale dell’Impero continuerà a sopravvivere (per circa un millennio).

Nel 527 Giustiniano, diventato imperatore d’Oriente, decise la riconquista dell’Italia. Al termine di una guerra durata 20 anni (contro i Goti) l’impresa gli riuscì: l’Italia divenne una provincia dell’Impero bizantino (l’Impero romano d’Oriente) e dovette subire l’imposizione di pesantissime tasse.

I Bizantini, occupati a difendere i confini orientali dell’Impero, non riuscirono però a impedire che in Italia giungessero i Longobardi, che, nel 568, guidati dal re Alboino, occuparono buona parte della penisola italica.

Con la pace del 603 l’Italia venne divisa in due parti, una longobarda (Longobardìa) e l’altra bizantina (Romània).

 

 

Gli Arabi

del settimo secolo, proprio mentre Bizantini e Longobardi stavano spartendosi l’Italia, in Arabia visse Maometto, che predicò una nuova religione, detta religione musulmana (o islamica). Secondo questa religione vi è un solo dio, Allah, e chi si comporta secondo le regole date da Maometto (contenute nel Corano) dopo la morte andrà in paradiso, gli altri all’inferno.

Gli Arabi che prima erano divisi in tante tribù nomadi, veneravano molti dei e avevano come centro religioso la Mecca, si convertirono alla religione musulmana e si unirono. Essi smisero di combattere gli uni contro gli altri e cominciarono ad attaccare e conquistare i territori vicini, in nome della Guerra santa voluta da Maometto.

Gli Arabi occuparono l’Asia sud-occidentale, fino a parte dell’India, 9 l’Africa settentrionale, la Spagna e per un certo tempo anche la Sicilia.

Nei paesi dominati dagli Arabi, tra l’ottavo e il decimo secolo, il commercio era praticato anche con paesi lontani, le città erano sviluppate, l’istruzione era diffusa. Invece in Europa nello stesso periodo l’istruzione era scarsa, vi erano poche città e poco commercio.

 

Gli Arabi diffusero nei loro vasti domini la loro lingua, la loro religione e la loro cultura (arricchita anche dai molteplici contributi portati dai popoli sottomessi). Agli Arabi si dovette così la diffusione di prodotti come l’albicocco e di scoperte e invenzioni come i numeri, l’alcool, il sapone, il mulino a vento.